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E contemplando que' suoi lumi
concepivo d'esser nulla.
E quei dolci impediva al vero
d'arrivare il core ormai imperato.
E 'l pensiero allor sorgeva
di quel desiato al core immàgo,
ma falso e mentitore a quella mente
una volta disillusa e dal caldo poi rinchiusa.
E riuscivo lì a sognare,
e riuscivo lì a cantare,
ché linfa nelle vene senza sosta
sì marciava, d'Amor, artefice Natura.
Medesima tiranna che negommi,
come al passero distante,
di dì la speme in dì.
E gremì li stessi nient'altro che di pianto,
fino al cielo odierno.
Quel suo dire di "no",
innocente all'apparenza,
assassino nel reale,
in cristallo mutò'l core, e tesor fece,
com'insegna solo diva legge,
del monosillabo pugnale.
Ed or niente lo scalfisce e nulla poi odierà,
nè si farà odiare e d'invidia mancherà,
attenderà Amor e non amore,
e non per suo voler, è che Natur mutò natura.
Il più grande paradosso visse ed ancor vige
in quest'umane terre,
ove tutto è in apparenza e niente bacia il vero
e l'uomo stesso a sè sì mente.
E chissà se di lacrime dilette li occhi miei
ciechi prima, poi bendati ed or vedenti
riediranno ad inondar, frammenti,
per ritrovar dei lumi franchi?
Ma fino al tempo stesso
dovran dolersi d'altra pioggia,
e in mezzo alla tempesta non dispero,
ché del legno mio, IO SON CAPITANO! |
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