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Tutti sanno chi fu Cristoforo Colombo e a cosa è legato il suo nome, ma non tutti sanno come effettivamente si svolsero i fatti che lo accompagnarono nella vita e che lo portarono ad essere ricordato nel mondo come uno dei passi più importanti fatti dall’uomo: “la scoperta delle americhe”.
Cristoforo Colombo nacque a Genova nel 1451 e già da piccolo dimostrò la sua passione per il mare: quando i genitori lo portavano sulle spiagge liguri incontaminate, Cristoforo era solito, al contrario dei suoi coetanei, scrutare l’orizzonte con qualsiasi cosa gli ricordasse un cannocchiale, spingersi a nuoto il più lontano possibile, per poi girarsi verso riva e gridare :”terra, terra”. In una di queste occasioni, il padre, vedendolo comportarsi ancora una volta in modo così strano, gli dette tante di quelle botte con l’asta dell’ombrellone, che Cristoforo da quel momento giurò a se stesso ed ai genitori che non sarebbe più andato per mare e che si sarebbe concentrato sugli studi. Appena dodicenne il padre lo iscrisse ad una scuola di frati, dove intraprese lo studio dell’ornitologia; infatti a quei tempi i lavori erano predestinati dal nome. Personaggi noti e meno noti intraprendevano la vita lavorativa a seconda del nome che avevano. Di conseguenza chi si chiamava Carbone, faceva il carbonaio, chi si chiamava Focaccia faceva il panettiere, chi si chiamava Cavallo faceva il maniscalco e così via. Famosi dell’epoca furono: Ludovico Ariosto (aprì le prime rosticcerie), Torquato Tasso (banchiere), Ettore Fieramosca (orgoglioso ammaestratore di insetti) ed altri. Di conseguenza Cristoforo fu avviato agli studi che, indiscutibilmente, lo avrebbero reso celebre come l’uomo capace di eliminare le centinaia di migliaia di piccioni che in quegli anni tormentavano le maggiori piazze italiane. Solo che durante una lezione pratica, effettuata in una piazza di un ignoto paese di provincia, Cristoforo, che stava facendo merenda con una pannocchia abbrustolita, fu aggredito da uno stormo di suddetti volatili, che lo lasciarono col torsolo della pannocchia in mano e pieno di escrementi appiccicaticci e maleodoranti. Allora il piccolo Cristoforo, col consenso dei suoi insegnanti frati, lasciò il convento e fece rientro a casa, dove fu assalito nuovamente dalla sua passione mai assopita: il mare. Di nascosto dal padre passava intere giornate sul litorale genovese cibandosi di frutta selvatica e qualche uovo (l’uovo di Colombo!) rimirando l’orizzonte oltre il quale sognava un giorno di arrivare. E si immedesimava così tanto nei suoi sogni da estraniarsi completamente dalla realtà. Infatti un giorno si ritrovò a fare il comandante di una nave che attraversava l’oceano nel bel mezzo di una tempesta. Impartiva con sicurezza ordini alla ciurma affinché tutti fossero ai loro posti per evitare che la tempesta affondasse la nave, e mentre gridava al timoniere di tenere la rotta, fu colpito al capo da una robusta cima staccatasi dalla vela di poppa. Il colpo sembrò così vero che Cristoforo istintivamente portò le mani dietro la nuca, pronto a ripararsi da eventuali altri colpi. Tanto bastò a portarlo alla realtà, proprio nel momento in cui vide la figura paterna dietro di lui mentre stava assestandogli un altro manrovescio con relativo calcio nel sedere, e capì di essere tornato alla realtà e di fare i conti con il padre che era andato a cercarlo. Fu così ricondotto a casa e tenuto sottochiave nella cantina per 15 giorni con la sola compagnia di 30 colombi, che il padre continuava a considerare la sua naturale occupazione. Col solo risultato che allo scadere della punizione, lo sfortunato ragazzo uscì dalla cantina più puzzolente che mai e pieno di escrementi oramai incrostati. Cristoforo prese una decisione: da quel momento non avrebbe voluto più vedere un colombo in vita sua, e decise di scappare di casa per inseguire il suo sogno: diventare un uomo di mare. La notte seguente, dopo aver raccolto in un lenzuolo qualche indumento, delle uova ed un pezzo di pane, si recò al porto di Genova, dove ancora al buio si imbarcò su un veliero diretto in Spagna. Dopo qualche miglio di navigazione, Cristoforo che proprio quel giorno compiva 15 anni, fu colto da giramenti di testa e malesseri vari, che nel giro di qualche minuto gli procurarono un vomito ininterrotto. Si accorse in questo modo sconvolgente di soffrire di mal di mare. Dovette ripulire il suo piccolo e misero alloggio da tutto quello che aveva tirato fuori, e dovette anche cambiarsi i vestiti che il vomito aveva lordato. Apri così il sacco con cui era fuggito di casa, ma si accorse che anche i panni di ricambio avevano un colore strano ed erano maleodoranti: le uova si erano rotte e avevano inzuppato tutto. Quindi il povero ragazzo rimase nudo senza la possibilità di coprirsi con qualcosa di pulito. Decise allora di salire in coperta a recuperare qualche stoffa. Fu così che al lume di una candela si diresse sul ponte dove notò un grande cumulo di stoffe depositate in un angolo. Con l’aiuto di un temperino ne tagliò un pezzo grande al punto da farne un paio di pantaloni ed una camicia; poi con l’aiuto di un amo, riuscì ad assemblare le parti di stoffa. Successivamente riuscì anche a riposare un po’. Il mattino seguente, lo trovò stravolto dalla stanchezza tanto che a malapena riusciva a mantenersi in piedi. Il capitano se ne accorse e gli fece bere un po’ di vino per rianimarlo. Cristoforo si sentì subito meglio. Il capitano chiese al ragazzo dove avesse procurato quel bel paio di pantaloni e quella camicia che sembravano splendere al sole del mattino. Cristoforo disse che era un regalo fattogli dai frati durante la sua permanenza in convento. Ma grande fu lo stupore del comandante quando ordinò alla ciurma di issare la vela di prua. Mai si era vista una vela col buco al centro e nessuno pensò che tale novità potesse essere l’innovazione di un avveniristico inventore. Il comandante guardò allibito per alcuni secondi Cristoforo tra le risate della ciurma, e poi ordinò al suo secondo di gettarlo in mare in pasto ai pescecani. A nulla valsero le scuse ed i buoni proponimenti del ragazzo che in un batter d’occhio si ritrovò nudo e solo in mare aperto. Vide, con disperazione, la nave allontanarsi ed a nulla valsero le sue grida disperate. Rimase in acqua per un giorno intero, e proprio quando le forze lo stavano per abbandonare, sentì passargli vicino qualcosa che lo atterrì. Cristoforo non ebbe il tempo di capire cosa fosse quella cosa, che fu inghiottito da un enorme balena. Si ritrovò infreddolito ed al buio nella pancia della stessa. Ad un tratto vide una luce farglisi incontro e al tremolare di una fiammella di candela riconobbe un uomo vecchio e curvo che gridava: “Pinocchio, Pinocchio, finalmente ti ho trovato”. Cristoforo capì subito che il vecchio lo stava scambiando per un’altra persona e mettendosi in piedi gli porse la mano per presentarsi dicendo:” piacere Colombo”. Il vecchio dicendo di chiamarsi Geppetto gli tirò infastidito una pinna di squalo sulla testa ed un calcio nello stomaco aggiungendo:” ma come, sono 2 anni che navigo alla ricerca di Pinocchio e mi capiti tu, brutto volatile putrefatto!”. Così lo prese per capelli e lo ributtò fuori dalla balena. Colombo vagò per altri 3 giorni in balia delle onde, sino a quando giunse in prossimità delle coste spagnole. Grande fu la sua gioia nel vedere la terraferma al punto che iniziò a gridare:”terra, terra”. Alcuni uomini che pescavano con le canne dagli scogli presero a tirargli delle pietre enormi, poiché ritenevano che le grida spaventassero il pesce che intendevano pescare. Così il povero Cristoforo dovette approdare un centinaio di metri più in là per evitare di essere lapidato. Ma prese lo stesso un sacco di botte quando toccò terra allorquando chiese ad una donna del posto in che luogo si trovasse. Infatti Cristoforo dimenticò di essere nudo e la donna armatasi di un remo preso da una vicina barca, lo rincorse per un po’ sino a quando riuscì ad assestargli una remata tra capo e collo. Il povero ragazzo perse subito i sensi non prima di aver pensato:”se rinasco voglio essere un colombo”. Si risvegliò dopo 2 giorni nel pagliericcio della signora Concita, la sua assalitrice, la quale, mossa da compassione, lo aveva accolto in casa sua. Cristoforo si risvegliò con un gran mal di testa. Poco dopo entrò nella stanza il padre di Concita, tale Manolo, che portò all’ospite un pezzo di pane e del buon vino rosso. Cristoforo divorò in pochissimo tempo il cibo offertogli, mentre Manolo continuava a chiedergli in lingua spagnola come si chiamasse e da dove venisse. Pur non conoscendo la lingua, il ragazzo intuì il senso della domanda e disse:” sono Cristoforo Colombo e vengo dall’Italia”. Manolo rispose:” allora sei un piccione viaggiatore?”. Cristoforo non ce la fece più, e sentire accostare il suo nome al volatile che più odiava, lo fece andare su tutte le furie . Prese la guantiera di legno dalle mani di Manolo e gliela suonò in testa. Poi si alzò dal letto, rubò dei vestiti dall’armadio di casa, qualche soldo dalle tasche dello svenuto Manolo e uscì per strada. Camminò a lungo per le vie del villaggio, sino a quando entrò in un osteria per mangiare qualcosa. Gli portarono mezzo colombo farcito, pane e vino. Mentre mangiava, si accorse della presenza di tre marinai ed un ufficiale che scambiavano tra loro delle battute indicando una cartina geografica. I tre discutevano del prossimo viaggio da intraprendere verso le Indie e che li avrebbe tenuti fuori casa per 6 mesi. Cristoforo fu subito affascinato dall’idea di poter partecipare a quel viaggio e prendendo coraggio si avvicinò al gruppo. Pur non conoscendo la lingua, cercò di farsi prendere a bordo, ma ricevette dall’ufficiale un secco rifiuto. Allora chiese di poter vedere la cartina geografica e rimase così affascinato da quella visione che Colombo riuscì a farsi fare dall’oste una fotocopia pure a colori. Rimase per giorni a scrutare il mare con la cartina in mano che custodiva gelosamente nelle sue tasche. Un giorno rischiò di vederla bruciare allorquando un vagabondo gliela chiese per arrotolare della strana erba secca da fumare. Cristoforo era sempre più assorto nei suoi viaggi immaginari, e pensava che prima o poi anche lui sarebbe salpato per le Indie. Ma un giorno, parlando col pescatore più ricco del villaggio, scoprì una cosa sconvolgente. Fernando, questo era il suo nome, vedendo la cartina geografica e venuto a conoscenza dei progetti di Cristoforo, sbottò in una grassa risata. Egli infatti rivelò al ragazzo che non vi era nessuna necessità di andare nelle Indie navigando verso est, perché avrebbe impiegato molto più tempo. Gli confidò che da anni lui, una volta ogni 6 mesi, navigava verso ovest per raggiungere una terra chiamata America, e che i mari erano così pescosi da riempire in poco tempo la sua grande barca. Per questo in breve tempo era diventato un uomo ricco e rispettato da tutti. La gente gli aveva chiesto più volte il motivo della sua fortuna, ma Fernando con risposte evasive era riuscito sempre a mantenere il segreto. Cristoforo chiese all’uomo se ci fossero altre persone che conoscevano questo segreto, ma Fernando gli disse che lo aveva rivelato solo a lui poiché voleva ormai ritirarsi dal lavoro e godersi la vecchiaia ed i suoi soldi. Fu allora che Cristoforo, ormai ventenne, vide il suo futuro delinearsi all’orizzonte ed iniziò a pensare che non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione per essere ricordato dalla storia come il più grande in assoluto. Doveva mettere a frutto quanto saputo da Fernando ma doveva fare in modo che lo stesso non vivesse a lungo, poiché sarebbe stato uno scomodo testimone. Così durante una cena offerta a Fernando, Cristoforo lo avvelenò con delle cozze messe, per l’occasione a decantare nel depuratore del villaggio, e dopo essersi impossessato del danaro del poveraccio, partì per il Portogallo. Qui si presentò alla gente come esperto uomo di mare, e condusse una vita agiata con il denaro sottratto a Fernando. In questo periodo studiò nei dettagli il piano che doveva condurlo alla famosa scoperta. Il piano prevedeva dei punti fermi da rispettare. Cristoforo doveva farsi passare per un esperto ufficiale di marina, grande conoscitore dei mari, delle terre emerse, nonché grande geografo. Quindi acquistò un vestito da capitano di vascello, e dei libri da cui estrasse qualche nozione che imparò a memoria. Ma per intraprendere il viaggio verso ovest serviva più di una nave e le sue finanze non erano sufficienti ad affrontare una spesa simile. Decise allora di presentare il progetto al re del Portogallo, il quale seccato gli rispose che non aveva tempo per giocare al “piccolo scienziato” e lo congedò offrendogli un cornetto al pistacchio. Cristoforo non si arrese, e dopo aver incendiato tutte le navi della flotta portoghese, fece rientro in Spagna, dove si rivolse al re Ferdinando e la regina Isabella. I due furono colpiti dal progetto ma Ferdinando,inizialmente fu un po’ arrabbiato con Cristoforo, perché continuava a chiamare la moglie Clarabella. Risolto l’equivoco, il re disse che si faceva carico delle spese del progetto e ordinò a Colombo di formare una flotta di 3 navi. Ci vollero 2 anni per la costruzione delle navi chiamate “caravelle” , e quando queste furono pronte Cristoforo si presentò al re con la lieta notizia dicendo:”maestà, le caravelle sono pronte”. A queste parole il re si alzò dal trono e colpì ripetutamente alla testa con il suo scettro il povero Cristoforo che stramazzò a terra mezzo morto. Dopodiché, rivolgendosi alla consorte, disse:”ma ti rendi conto che questo imbecille ha speso la mia fortuna per comprare 3 caramelle?”. La regina fece un cazziatone al re, facendogli notare che con l’età stava diventando sordo perché Colombo aveva detto caravelle e non caramelle. Il re capì l’errore e diede ordine di curare Colombo, il quale dovette aspettare altri 2 mesi per guarire completamente. Chiarito l’equivoco, il re volle vedere le navi. Quando fu davanti ad esse fu molto contento e pensò subito che bisognava dar loro dei nomi prima del varo. Ci furono molte proposte. Il re disse:”chiamiamole Gaspare, Melchiorre e Baldassarre”. La regina infastidita fece notare al re che non si trovavano nel periodo natalizio, e propose di chiamarle Aldo Giovanni e Giacomo. Il re chiese chi mai fossero costoro ed ebbe subito il sospetto che si trattasse dello stalliere, del giardiniere e del cuoco con cui la consorte, secondo voci di corte, si intratteneva. Il figlio di un marinaio presente sul molo suggerì i nomi di “Qui, Quo e Qua” ma il padre gli disse di stare zitto altrimenti il re lo avrebbe fatto crescere in una delle sue piantagioni di lupini. In quel momento arrivò sul molo Rosita, una bambina figlia del pittore di corte che, attratta da tutta quella gente festante, era alla ricerca della madre. La bimba era rimasta in casa gran parte della mattina e approfittando dell’assenza dei genitori, si era impossessata di alcuni pennelli e colori del padre e giocando si era dipinta i vestiti, le mani ed il viso. Quando arrivò tra la gente, sul molo, la madre vedendola così sporca, esclamò alla presenza del re:”Santa Maria, la nina es toda pinta!”. Cristoforo Colombo restò come folgorato da questa esclamazione e rivolgendosi al re disse:”maestà, ho trovato i nomi per le caravelle. Le chiameremo Nina, Pinta e Santa Maria”. Il re e la regina furono entusiasti della scelta e nominarono Colombo ammiraglio e viceré di tutte le terre che sarebbero state scoperte. Era il 17 aprile 1492, e siccome era il giorno di Pasqua, il re donò a Cristoforo un dolce proveniente dall’Italia e che per quei tempi era una rarità: la colomba pasquale. Cristoforo ringraziò ma non poté fare a meno di notare ancora una volta come quei maledetti volatili fossero sempre presenti nella sua vita. Comunque, radunati 120 marinai Colombo, salpò da Palos il 3 agosto 1492 con la promessa di tornare vincitore e con le prove della sua scoperta. Il re lo benedì dicendogli:”è meglio per te che torni con qualcosa altrimenti passerai il resto della tua vita a pulire le stalle dei miei toros”. Colombo lo salutò con un cordiale gesto delle mani: la sinistra completamente chiusa lasciava vedere solamente il medio; la destra chiusa nello stesso modo lasciava libere solo l’indice ed il mignolo. La regina chiese cosa fosse quello strano saluto ed il re disse che probabilmente era una manifestazione di affetto tutta italiana. Così le tre caravelle presero il largo e diressero le loro prue verso l’oceano. Cristoforo vide così avverarsi i sogni e per un attimo si ritrovò bambino mentre scrutando il mare sentiva quel dolore alla nuca provocato dal chiantapane del padre. Solo che ora la storia era diversa e si trovava al comando di una vera spedizione alla scoperta di terre sconosciute. Ma un dubbio lo riportò alla realtà. E se Fernando gli avesse raccontato una grande balla? Cristoforo,comunque, si preparò ad immedesimarsi nel ruolo di responsabilità che lo aspettava. 120 uomini erano nelle sue mani ed aveva un compito arduo da portare a termine. Ma non dimentichiamo che Cristoforo non aveva nessuna conoscenza specifica per affrontare una navigazione così lunga, e doveva dimostrare il contrario e cioè di essere un vecchio lupo di mare capace di orientarsi con facilità guardando le stelle, riconoscendo le correnti marine più favorevoli, e saper sfruttare i venti per navigare più velocemente. Quindi i suoi uomini quando lo vedevano assorto nelle misurazioni col sestante, con la bussola e fare i punti su carte geografiche, si convincevano che il loro comandante fosse un uomo veramente preparato. Ma Cristoforo non ci stava capendo nulla e le cose andarono anche peggio quando scoprì che al timone c’era tale Egidio Peroni, amalfitano verace, fuggito dalla cittadina tirrenica qualche anno prima, essendo stato il principale responsabile di una sciagura marinara nel porto di Amalfi. Una notte, in preda ai fumi dell’alcol, e dopo aver scoperto il tradimento della sua amata, si impossessò del veliero del Duca D’Aragona ed improvvisandosi comandante scorrazzò con il natante per lungo e per largo nel porto della cittadina, travolgendo tutto quello che gli capitava a tiro. La bravata si concluse con l’affondamento di otto navi, dodici barche, la distruzione del molo e di imprecisati allevamenti di mitili e ostriche. Ma la cosa più grave fu l’affondamento del veliero del Duca, che valeva un sacco di soldi. Egidio fu catapultato in mare e si salvò solo perché riuscì ad aggrapparsi ad un fasciame di legno che lo allontanò abbastanza dalle immediate ricerche degli uomini del Duca, i quali avevano ricevuto l’ordine di catturarlo vivo per condurlo innanzi al Duca D’Aragona. E chissà quale punizione lo avrebbe atteso! Comunque Egidio, dopo aver vagato per due notti nel mediterraneo, guadagnò la riva e dopo varie peripezie arrivò in Spagna dove si propose ancora una volta come timoniere. Prese posto sulla Santa Maria e Cristoforo Colombo, ascoltando il suo curriculum, gli affidò il timone. Ma ci fu un altro motivo per cui Colombo lo scelse: Egidio sapeva preparare con pochi ingredienti una gustosissima birra che rallegrava tutto l’equipaggio. Così dopo 10 giorni di navigazione la Santa Maria vagava per l’oceano senza una meta precisa, ed Egidio virava ora a sinistra, ora a destra, aggiungendo brillo e nella sua lingua: “uè Colò, ma arò sfaccimm stamm jenn?”. Colombo rideva felice e pensava che Egidio fosse il suo asso nella manica capace di compensare le sue deficienze in materia di navigazione. Infatti al 16mo giorno di navigazione, il marinaio di guardia sulla torretta gridò a squarciagola.”terraaaaa,terraaaaa!”. L’equipaggio impazzì e acclamò a gran voce il loro comandante, che dopo un primo momento di euforia pensò che le Americhe dovevano essere più vicine di quanto pensasse. Con il suo cannocchiale Colombo scrutò quel promontorio che si avvicinava sempre più, e impartì gli ordini per prepararsi allo sbarco. Poco dopo fu calata in mare una scialuppa su cui presero posto Colombo, e tre uomini armati di tutto punto. Dopo poche remate, la barca toccò terra e tra l’emozione generale, Colombo scese a terra inginocchiandosi piangente. Disse:”questa è la terra che io e solo io ho scoperto ed a cui darò il mio nome. Da oggi in poi si chiamerà Colomba!”. In quel momento l’ammiraglio fu colpito da una enorme frittata di sterco “lasciata “ cadere da un colombo che gli passò sopra, per cui, avendo la testa tutta impiastricciata di escrementi, esclamò:”maledette bestie, anche in questo luogo così lontano!”. Si rialzò e si addentrò con un marinaio tra la boscaglia, quando d’un tratto sentì un fruscio. Accostando il dito indice al naso, intimò al marinaio che lo accompagnava di non fare rumore. Si diresse verso il punto in questione e notò un uomo accovacciato nell’atto di defecare. Colombo pensò che forse non era il momento più propizio per presentarsi alla gente del posto, ma non poteva e non voleva perdere l’occasione di realizzare quell’incontro pieno di mistero. Per cui con passo deciso, si diresse verso l’indigeno e quando fu ad un passo da lui esclamò fiero:”salute a te straniero, vengo in pace in questa terra lontana. Il mio nome è Colombo e arrivo dalla Spagna.”. A quelle parole l’uomo si alzò di scatto non prima di aver raccolto un grande sasso da terra che scaraventò sula testa di Colombo, il quale stramazzò esanime al suolo. Aggiunse:”fijo de puta, no se pode cagar nemmieno en santa pace. Va a romper le pelotas da un’altra parte. Questa es la Espania.!”. Il marinaio intervenne appena in tempo per recuperare il suo comandante che per terra, in preda ad un forte shock si dimenava e gridava:”terraaaaa,terraaaa. Colombaaaa, Colombaaaaaa.”. Riuscì a tirarlo per il bavero del pastrano un attimo prima che “l’indigeno” furibondo gli si avventasse sopra con un pesante ciocco di pino. Dopo averlo caricato sulle proprie spalle, corse verso la scialuppa da dove riguadagnarono il mare prima che l’uomo e altri amici accorsi in suo aiuto gli si avventassero contro. Mentre remavano con tutta la loro forza per arrivare alle navi, videro che la riva si era ormai affollata di gente che aveva riconosciuto i componenti della spedizione partita alla scoperta dell’ovest. Questi dicevano:”ecco dove vanno a finire i nostri soldi, servono per scoprire la Spagna!!!”. Le navi riguadagnarono il largo velocemente tra lo stupore e lo smarrimento degli equipaggi che stentavano a credere all’errore fatto dal loro comandante. Colombo, a causa della nuova botta in testa rimediata, riprese conoscenza dopo una settimana e benché avesse un continuo martellare alle tempie, facendosi aiutare, riguadagnò la coperta ed il proprio posto di comando. Qui trovò una delegazione di marinai che spazientiti, chiesero quali programmi ci fossero per il futuro. Innanzitutto Colombo si scusò per l’errore di calcolo per effetto del quale erano tornati in Spagna. Promise che nel giro di qualche settimana avrebbe toccato le coste del nuovo mondo e indicando con l’indice teso il presunto ovest, ordinò al sempre più allegro timoniere Egidio di tenere quella direzione. Per farsi capire meglio dallo stesso, gli si avvicinò e gli sferrò un calcio sugli stinchi minacciandolo di non fargli più toccare un goccio di birra per il rimanente tempo di navigazione. In più ordinò al suo secondo di far distribuire doppia razione di cibo e birra a tutto l’equipaggio. Poi mentre guardava il sole alto all’orizzonte, tirò un sospiro di sollievo proprio nel momento in cui veniva colpito da qualcosa che gli impiastricciò il viso. Egidio corse in aiuto del proprio comandante con uno straccio e lo ripulì alla meglio. Colombo riaprì gli occhi e notò una smorfia divertita del timoniere che esclamò:”maronna mia Colò, e che furtuna che tiene!!!”. Colombo intuì di essere stato colpito dall’ennesimo proiettile di sterco e spazientito tirò un cazzottone sulla testa di Egidio che rimase attaccato per il collo della camicia al pirozzo del timone. Un marinaio gli portò tra le mani un piccione viaggiatore che tra le zampe custodiva una piccola pergamena. Colombo la aprì e lesse trepidante. Era il re di Spagna, che essendo venuto a conoscenza del clamoroso errore fatto dal navigatore, intimava a Colombo di non tornare in Spagna se non con le prove della scoperta delle nuove terre, pena l’impiccaggione sua e di tutti i 120 marinai. Non ritenne opportuno informare gli uomini del contenuto della missiva, ma disse che probabilmente il maledetto volatile si era perso, poiché sulla pergamena erano riportati 3 numeri accompagnati dalle seguenti indicazioni:”1 scudo sul terno e 2 sull’ambo. Ruota di Venezia”. In più ordinò che il piccione fosse portato al cuoco e che gli fosse servito per cena. Mentre la ciurma si apprestava a ritornare ai propri posti, si fece avanti un marinaio che cercava di avvicinare Colombo. Fu fermato dagli aiutanti del comandante che pensavano volesse aggredire lo stesso. Colombo gli si avvicinò e chiese cosa volesse e qual’era il suo nome. Il marinaio disse:” so…so…sono To…To…-(Egidio sussurrò hei…Totò)- Tom…Tom…Tommaso e so..so…so do…do..dov’è la te..la te… (Egidio, credendo di aiutarlo disse la tetta? Rimediando un altro calcio negli stinchi) …la terra che…che…cerchiamo”. Colombo lo invitò a dire il resto, ma in modo più veloce perché non aveva tempo da perdere. Gli disse di cantare perché sapeva che cantando i balbuzienti si esprimevano normalmente. Allora Tommaso intonando “o sole mio” disse che a volte cadeva in trance e aveva delle visioni. Qualche giorno prima, durante una di queste, aveva visto la nuova terra e la cosa andava ripetendosi più frequentemente negli ultimi tempi. Allora Colombo ordinò di legare all’albero di prua il marinaio Tommaso, che ribattezzò a causa della sua balbuzie “Tom-Tom”. In più disse ad Egidio di mantenere la rotta indicata da Tom-Tom pena un tuffo in mare in compagnia degli squali. Dopodichè si ritirò nel suo alloggio. Passarono 2 giorni senza segnali da parte di Tom-Tom, ma al terzo, forse a causa del lungo digiuno e del freddo patito, iniziò a dire che la terra era nella direzione che indicava col mento e che vedeva enormi maiali sulla brace, fiumi di vino e forme di pane grandi come ruote di carro. Egidio eseguì alla lettera le indicazioni di Tom-Tom, e così si comportò durante i 30 giorni successivi. Ma il malcontento regnava tra gli uomini, che dopo quasi due mesi di navigazione erano stanchi di vedere solo mare e iniziarono a credere che quello fosse un viaggio senza fine e che prima o poi sarebbero stati inghiottiti dall’oceano. Ma una mattina, mentre lo sconforto stava impossessandosi anche di Colombo, il marinaio di guardia sulla torretta gridò:”terraaaaa, terraaaaaa, terraaaaaa, terraaaaaa, terrrraaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa" fino a quando schiattò e volò in mare. Colombo uscì incazzato nero dal suo alloggio, cercando colui che aveva osato disturbare il suo sonno al grido di :”merdaaaa, merdaaa” e pensò tra l’altro, coprendosi la testa che potessero esserci degli altri colombi in vista. Ma il comandante in seconda gli si fece incontro abbracciandolo e spiegandogli che la vedetta aveva avvistato la terra. Colombo si fece passare il cannocchiale e guardò nella direzione indicata. Vide la terra ed esclamò:”lo sapevo, i miei calcoli erano esatti!” tra lo stupore degli ufficiali e di Egidio che disse:” se…se…sinnungesteva Tom-Tom chiossapearostamme mò”. Colombo, che ormai capiva la lingua del marinaio, prese la pala appoggiata all’albero maestro e gliela suonò in testa. Poi si diresse verso Tom-Tom ed esclamò:”bravo, ti nomino ufficiale addetto e sarai il mio aiutante”. In più ordinò di slegare Tom-Tom che era rimasto legato a prua per un mese. Quindi le tre caravelle si avvicinarono alla nuova terra e gettarono le ancore a pochi metri dalla costa. Era il 12 ottobre del 1492. Colombo toccò terra a bordo di una scialuppa in compagnia dei suoi ufficiali e di una ventina di marinai e questa volta, appena a terra, prima di inginocchiarsi e sparare cavolate, volle accertarsi che effettivamente fosse arrivato in America. Quindi mandò una pattuglia nell’interno della foresta in cerca degli abitanti del posto. Tornarono poco dopo in compagnia di alcuni indigeni dalla pelle scura, nudi e con piccole ossa ficcate nel naso e nelle orecchie. A questi Colombo disse:”salute a voi, io sono Cristoforo Colombo, il famoso conquistatore e vengo dalla Spagna in nome del Re“. Seguì un sordo rumore di scorreggia proveniente dal deretano di uno degli indigeni, che sembrò essere il capo in quanto con un gesto invitò gli altri a fare altrettanto. Immediatamente si udirono scoregge tutto intorno accompagnate da un tanfo così acre che due marinai di scorta svennero. Colombo pensò che questo doveva far parte del cerimoniale di benvenuto proprio delle popolazioni del posto. A poco a poco dalla boscaglia arrivò altra gente e Colombo, finalmente si convinse di essere arrivato nel posto giusto e decise di chiamare quella terra Petonia. Nei giorni successivi si strinse un forte legame tra i conquistatori e gli indigeni; gli venivano offerte chincaglierie dell’occidente come specchi, caramelle, tessuti e loro ricambiavano con oro e pietre preziose. In poco tempo tutto l’equipaggio delle navi ricevette una fortuna, ma il più ricco di tutti risultò essere il timoniere Egidio Peroni da Amalfi, il quale vendette il brevetto della sua miracolosa birra al capo degli indigeni. Infatti, assaggiata la bevanda offerta in omaggio, gli indigeni non riuscirono più a staccarsene e la apprezzarono così tanto che donarono ad Egidio due belle petonie (ragazze di Petonia). Colombo continuò nei mesi successivi la conquista delle altre terre vicine a cui dette i nomi più svariati. In alcune trovò gruppi di europei in villeggiatura nelle isole paradisiache del posto i quali dissero che annualmente vi si recavano a passare le ferie con viaggi organizzati. Ma chiaramente, questo, Colombo non lo riferì al re di Spagna il quale lo accolse come un grande eroe da consegnare alla storia. Durante la cerimonia di ringraziamento tenutasi nel salone del castello spagnolo, mentre il re poggiava la spada sulla spalla destra di Colombo, uno stormo di piccioni festanti, passando sulla sua testa, mollò un'enorme scia di sterco liquido (effetto "Frecce Tricolori"!).
Cristoforo Colombo visse il resto dei suoi giorni in Spagna da persona ormai ricca e spesso lo si vide in compagnia del Re. Di tanto in tanto si recava ormai vecchio sulle rive del mare spagnolo, dove rimaneva a rimirare l’orizzonte chiedendosi se esistessero altre terre da scoprire. Tra le mani stringeva un grande ombrello che teneva sempre aperto anche nelle giornate di sole. E’ inutile chiedersi a cosa potesse servire!!! Egidio Peroni fece ritorno ad Amalfi, dove, con le fortune accumulate ripagò tutti i danni ai suoi concittadini ed al Duca D’Aragona e successivamente fondò la prima fabbrica di birra in Italia.
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.
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