La condanna sta nel dovere ogni giorno della nostra vita lottare
per far vedere agli altri che esistiamo e siamo in gamba.
La condanna è un gioco di sopravvivenza nel quale non si deve mostrare debolezza;
così, come animali feriti e pieni di lividi nascosti nei bui anfratti del cuore, procediamo verso l'avvenire mascherati come se fosse carnevale.
Dietro ai travestimenti scelti con cura, la vera identità vorrebbe vomitare in faccia alla mediocrità e alla finzione che costringe ai sorrisi di circostanza,
vorrebbe si scatenasse una rivoluzione ma consapevole del fatto che qualcosa in noi la frena, si rassegna aspettando e domandandosi quanto ancora si dovrà andare avanti
a reprimerla:
è come se ci si trovasse davanti ad uno specchio di fronte al quale, l'immagine riflessa, anche se fedele nel ricostruire i nostri movimenti,
vorrebbe fare l'esatto contrario perché insoddisfatta dell'assopimento che porta un lato di noi all'assuefazione dei soliti modelli da seguire come metodi ineccepibili.
Lungo le strade del paese, attraversando ponti e quartieri,
procediamo verso ciò che già prima che nascessimo è stato congegnato, costruito,
ben impacchettato con tutte le sue regole e le buone norme da seguire;
procediamo verso un vecchio mondo dove l'io di ogni singola persona,
quello che vorrebbe urlare a squarciagola,
paragonato alle meccaniche prestabilite delle società, sembra non avere vie di fuga, non avere vie di scampo.
La vera identità che reclama giustizia è stata incatenata al consolidamento degli schemi;
ma è anche vero che la vera identità, quella scomoda, malvista da alcuni
e apprezzata da altri, quella che scatena burrasche e non rende automi,
non volendo arrendersi e spingendo per venire fuori,
cercherà il modo di mettere a ferro e fuoco la galera nella quale è stata imprigionata.