"Può contenere tracce di ... ", si legge in certe confezioni di prodotti alimentari: evidentemente, negli stabilimenti dove essi si producono, si confezionano anche altri prodotti, che possono lasciare minime tracce nelle confezioni che acquistiamo.
E questo vale pure per le Università, dove si va per laurearsi in una data materia, ma dove si insegnano anche altre materie, che lasciano sempre piccole tracce in chi frequenta quei luoghi, pur se non segue mai gli altri corsi.
All’ "Orientale" di Napoli, dove andai per laurearmi in francese, e dove studiai inoltre portoghese e inglese, si insegnavano (e si insegnano tuttora) un centinaio di lingue di tutto il mondo, che trasmettono sempre qualcosa agli studenti interessati.
In particolare, l’ "Orientale", nata nel 1732 soltanto per insegnare, inizialmente, il cinese ai missionari, possiede ancora un’aura di quella lingua esotica.
Conservo un libretto con tutti i programmi dell’anno accademico 1964 - 1965 di quell’Università (io allora avevo quattordici anni, ma il libretto mi fu regalato da una mia cugina della provincia di Salerno, un cugino dal lato materno della quale, Aldo Gallotta, era appena diventato professore di turco all’ "Orientale" e sarebbe divenuto poi l’esperto di turcologia forse più autorevole d’Italia nell’ultimo quarto del secolo scorso) . Il programma di cinese (con i titoli dei testi consigliati agli studenti, che evito di trascrivere) era: "Introduzione alla lingua parlata: fonetica, scrittura, conversazione. Cenni alla storia della lingua parlata (primo anno); la lingua cinese parlata per progrediti. Lettura di passi di prosatori moderni. Studio di un saggio di Hu Shih e di una novella di Ping - hsin (seecondo anno); introduzione alla lingua scritta. Letteratura cinese dalle origini al Medio evo con lettura. Lettura di saggi in lingua parlata. Esercitazioni nel linguaggio giornalistico (terzo anno); cenni alla storia della letteratura cinese dal Medio evo in poi. Lettura di brani di poesie e di prosa (quarto anno) " .
Le tracce cinesi mi hanno indubbiamente positivamente contagiato, non cero facendomi imparare il mandarino, ma aprendo un po’ la mia mente, creando delle sinapsi capaci di aiutarmi a vedere il mondo (anche) con occhi diversi.
Quando una lingua è invece molto simile a quella materna, è possibile assorbire delle tracce che permettono di imparare quella lingua senza studiarla. Mi successe con lo spagnolo, quando un amico (ero allora quindicenne) mi regalò un libro argentino destinato al macero, ed io capii che per me sarebbe stato piuttosto facile comprendere quella lingua iberica, convinzione che si rafforzò quando, ventenne, andai a vedere una mostra di libri spagnoli, organizzata dal consolato spagnolo e dall’Istituto "Santiago" di Napoli, alla "Villa Pignatelli", alla riviera di Chiaia: mi bastò leggere il catalogo (che veniva regalato a tutti i visitatori e che semplicemente riportava tutti i titoli dei libri esposti, come "El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha", "Poesia juglaresca y juglares" o "Un hombre entre dos mujeres") per comprendere che (come poi feci) sarei potuto andare in Spagna capendo e facendomi capire bene, e che avrei potuto leggere con facilità in originale Unamuno, Borges, Onetti ...