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Tuya, Raggio di Sole della steppa

Fantasy

1

I soldati dell’ usurpatore irruppero nel villaggio ancora immerso nel sonno e iniziarono la loro opera distruttiva appiccando il fuoco alle prime capanne. Il vento gelido che soffiava sulla steppa alimentò le fiamme, che in pochi minuti si propagarono scatenando l’ inferno.

Destati dalle urla e dal fumo acre, gli abitanti uscirono precipitosamente all’ aperto cercando scampo nella fuga e tentando di mettere in salvo gli anziani e i bambini.

Purtroppo, i soldati lanciati nel folle galoppo fecero una strage.

Un nugolo di frecce e di giavellotti, si abbatté a pioggia sui fuggitivi. Ben pochi furono i superstiti e solo ai più giovani e alle più belle tra le ragazze venne risparmiata la vita, ma solo con l’ intento di renderli schiavi.

Tuya, una ragazzina di appena undici anni, si salvò grazie all’ intervento di suo padre, lo stregone del villaggio. Le urla lo avevano strappato bruscamente al sonno e l’ uomo aveva subito intuito che vi era un attacco in corso. Aveva raccolto in fretta le vesti e alcune cose nella capanna e, svegliata la ragazzina l’ aveva sospinta all’ esterno esortandola alla fuga. Giunti al recinto dove venivano custoditi i cavalli, l’ aveva poi costretta a montare in sella.

« Tuya, guardami!» le aveva detto con urgenza ponendole nelle mani un involucro, mentre lei si disperava:

« No padre, vi prego! Non voglio lasciare il villaggio! Permettetemi di restare con voi!»

Il tono dell’ uomo si era fatto grave, severo:

« Non c’è tempo, Tuya! Ascoltami! La profezia incisa sulla Roccia Sacra dai nostri antenati, si è verificata. Il nostro destino è stato scritto molto tempo prima che tu nascessi e noi vi stiamo andando inesorabilmente incontro. A te è stata affidata la missione più importante e la devi portare a compimento. Devi salvarti figlia mia e se gli dei vorranno, con te si salverà la nostra stirpe, la nostra storia e i segreti del nostro popolo.» L’ anziano pose una carezza sul volto della ragazzina in preda al panico, poi le porse una tracolla e un involucro di seta: « Prendi questo, Piccolo fiore e portalo al monastero di Chuulun Damba. Là conoscerai la verità. Salva la tua vita e il nostro popolo ritornerà a vivere grazie a te!»

Le fiamme e il fumo già si propagavano e le urla dei feriti e dei fuggitivi si espandevano, coprendo ogni altro rumore e contribuendo a confondere e terrorizzare l’ animo della ragazzina.

Con gli occhi colmi di lacrime, Tuya tese le braccia verso il padre per abbracciarlo e stringersi al sicuro sul suo petto, ma l’ uomo la respinse con decisione, afferrandola per i polsi. « Sii forte!» le disse con sguardo severo.

« Non conosco la strada, padre!» mormorò, confusa dall’ atteggiamento duro del genitore.

« Affidati a Soffio Impetuoso. Lui saprà dove portarti» le disse, carezzando il manto scuro del magnifico stallone. L’ animale volse il lungo collo sull’ anziano e muovendo su e giù la testa sembrò annuire.

Lo stregone sorrise debolmente. « L’ ingresso alle donne è interdetto in quel luogo sacro e dovrai aver pazienza e attendere un po’ di tempo, ma non ti dovrai scoraggiare. Quello che ti ho consegnato è il tuo lasciapassare. Ricordati di cingerlo sulla fronte e le porte del monastero si spalancheranno per lasciarti entrare. Mi hai capito?»

« Sì, padre.» mormorò la ragazzina.

« Allora addio, figlia mia! Le stelle sono con te e illumineranno il tuo cammino!» esclamò l’ uomo, quindi assestò una lieve manata alle terga del cavallo spronandolo a muoversi. Soffio Impetuoso rispose al comando con un balzo in avanti e Tuya dovette aggrapparsi con tutte le sue forze alla lunga criniera per non cadere.

Sotto lo sguardo preoccupato dello stregone, la figura della ragazzina a cavallo scomparve, inglobata dalla nebbiolina mattutina, che si stava propagando sulla steppa.

Tuya si accasciò sul collo del cavallo e si lasciò trasportare con la mente condizionata dagli orrori vissuti.

Le urla disumane degli assalitori e quelle più flebili e agghiaccianti dei feriti e dei moribondi risuonarono per qualche minuto ancora e quando infine il silenzio l’ avvolse come in un bozzolo gelido, un’ abulia ipnotica, senza sogni né incubi l’ accolse in un limbo senza senso.

Era come se avesse perso la cognizione del tempo e del luogo, o forse a causa del trauma subito dall’ assalto spietato e dalla fuga precipitosa, era caduta in un deliquio senza rendersene conto.

Il tempo divenne una cosa relativa e quando si riprese dopo alcune ore, il sole toccava ormai lo zenit e lei, ancora accasciata sulla criniera del cavallo, avanzava inerte attraverso l’ esteso altipiano.

La notte scese all’ improvviso e lei si ritrovò immersa nella più completa oscurità. La temperatura era scesa sensibilmente e Tuya prese a tremare per il freddo ma anche per la paura. Il silenzio, rotto solo dal tonfo degli zoccoli sul terreno e dal sibilo del vento, si era colmato di tanti rumori, suoni e richiami di animali usciti dalle tane a cercare cibo. Era soprattutto l’ ululato dei lupi a incuterle terrore e quella zona era infestata da orde fameliche e selvagge.

La disperazione s’ impossessò del suo animo innocente. Invocò suo padre odiandolo per qualche istante perché l’ aveva costretta ad allontanarsi, anche se in cuor suo sapeva che l’ aveva fatto per salvarle la vita. Tuya tremò visibilmente. In poche ore aveva perso tutti i suoi punti di riferimento e le poche certezze che avevano caratterizzato la sua vita. Non che ne avesse avuti molti. La madre era morta quando lei era ancora molto piccola e ne ricordava vagamente il sorriso e, inoltre, era figlia unica. Nessun fratello o sorella con cui condividere giochi, ricordi e situazioni particolari.

In realtà, Tuya, non ricordava un luogo specifico in cui aveva vissuto abbastanza da quando era nata, ma tanti viaggi e tanti luoghi diversi in cui si erano fermati e assemblato la miriade di yurte, tende tibetane, che formavano il loro villaggio itinerante.

La loro era stata una fuga continua, ininterrotta per evitare di finire in schiavitù.

Si domandò cosa ne erano stato dell’ accampamento e dei suoi abitanti e pianse.

Avrebbe desiderato smontare da cavallo e cercare un riparo sicuro per improvvisare un giaciglio in cui distendere le membra esauste, ma gli inquietanti rumori si erano moltiplicati e ogni tanto intravedeva la luminescenza di occhi che la spiavano nel buio.

La tensione per un po’ la tenne impegnata e con la mente vigile, ma alla lunga la stanchezza ebbe il sopravvento. Tentò in ogni modo di rimanere sveglia perché non voleva ritrovarsi circondata dai lupi ma, nonostante gli sforzi, gli occhi le si chiusero e lei crollò ancora una volta sul collo del cavallo.

Tuya non se ne rese conto, che Soffio Impetuoso si diresse al riparo tra le rocce e che piegò i garretti fino ad accucciarsi a terra per raccoglierla al caldo e al sicuro contro il suo ventre.

I lupi li raggiunsero dopo pochi istanti e nell’ aria si espansero ringhi e latrati. Soffio Impetuoso si rialzò, sbattendo gli zoccoli sul terreno e stronfiando con vigore, quindi, sollevandosi sulle zampe posteriori e scalciando violentemente l’ aria, levò il suo alto nitrito di ammonimento.

I lupi squadrarono il maestoso cavallo selvaggio ancora qualche istante, poi si dileguarono nell’ oscurità, alla ricerca di una preda più facile.

Il cavallo quella notte vegliò sulla ragazzina abbandonata in un sonno profondo e ristoratore.

Alle prime luci dell’ alba Soffio Impetuoso si scrollò rialzandosi solo un attimo prima che la ragazzina si destasse.

Tuya si stiracchiò. La mente ancora un po’ intontita dal sonno, ma dopo pochi istanti riprese coscienza di quanto era accaduto il giorno prima.

I morsi della fame si fecero sentire e Tuya frugò nella tracolla consegnatele da suo padre. All’ interno vi trovò della carne secca e un pezzo di pane, che lei addentò, voracemente.

Soffio Impetuoso le si avvicinò, piegando i garretti per facilitarle la salita e la ragazzina, con un sospiro rassegnato, montò in groppa.

Dopo qualche minuto, galoppavano lungo la steppa, in direzione della corona di colli e monti che si stagliava all’ orizzonte e i ricordi tornarono prepotentemente ad assillarla. Quanto tempo era passato dall’ attacco al villaggio? E chi erano gli aggressori? Suo padre le aveva raccontato molte volte degli invasori e della loro pretesa di dominare il popolo tibetano e soltanto le abitudini nomadi della sua gente li aveva salvati dall’ occupazione.

D’ istinto avrebbe spronato il cavallo a ritornare indietro, ma le immagini dei morti e dei feriti le impedirono di farlo.

« Dove mi stai portando Soffio Impetuoso?» sussurrò, stremata dal trauma e dalla stanchezza. Non era abituata a cavalcare così a lungo come il giorno prima e già sentiva la schiena e le gambe a pezzi.

Lo stallone nitrì e, come se avvertisse la debolezza della sua giovane amazzone, ridusse l’ andatura al trotto.

Tuya si guardò intorno. Immagini di pace scorrevano ora sotto i suoi occhi, con mandrie di yak e di armenti al pascolo, mentre il fruscio del vento sferzava la sua pelle brunita. I lineamenti erano ancora fanciulleschi, le guance rotonde e rosee ma gli occhi erano grandi, neri e luminosi e i capelli lunghi e scuri sciorinavano alle sue spalle smossi dalla brezza. Il suo risveglio, la notte dell’ attacco, era stato brusco e precipitoso e Tuya non aveva avuto il tempo di farseli intrecciare dalla sua ancella, come era solita fare.

Sentiva di non avere più lacrime da versare, ma una ferrea determinazione di arrivare al monastero era subentrata al gran dolore.

Le mura dell’ austero edificio arroccato sulla cima di una ripida collina le apparvero da lontano e, lei, intuì di essere arrivata a destinazione.

“ Chuulun Damba Monastyr! Il monastero della Roccia Sacra! Il mio viaggio è terminato. Ora non mi resta che aspettare.” pensò, preparandosi moralmente a una lunga attesa.

La ragazzina smontò da cavallo e si stirò le gambe, che sentiva anchilosate.

Soffio Impetuoso prese a pascolare e lei portò la sua attenzione al pendio ripidissimo. “ Come farò a salire lassù?” si domandò, scrutando le alte mura dell’ edificio a strapiombo sulla vallata.

“ Non vedo nessuna via d’ accesso. Forse l’ ingresso è dall’ altra parte.” concluse, ripromettendosi di riposare un po’ e poi girare intorno alla collina per una verifica.

Alte strida attirarono la sua attenzione.

Il volo possente ed elegante di un piccolo stormo di falchi salutò il suo arrivo.

Tuya era abituata a vederne volteggiare sul suo villaggio. La sua gente era conosciuta per l’ abilità con cui da millenni addestravano aquile e falchi. Per il suo popolo, i rapaci avevano un alto valore simbolico, oltre che pratico. Venivano infatti addestrati alla caccia a specie volatili commestibili, ma erano anche considerati simbolo di fierezza, forza e libertà.

La ragazza seguì rapita il volo a planare, quindi poco dopo, lo vide sparire all’ orizzonte e solo allora si accorse che c’ era gente sulle mura.

La stavano osservando e lei alzò una mano per salutare. Perlomeno, ora aveva la certezza di essere stata notata e questo era già una cosa positiva.

Le persone sparirono e lei sospirò. Suo padre le aveva assicurato il suo ingresso in quel luogo sacro e Tuya sapeva che non le aveva mai mentito.

Si cercò un posto al riparo tra le rocce e si preparò alla lunga attesa.

I monaci guardiani erano andati ad avvertire il Gran Maestro della presenza della ragazzina ai piedi del dirupo.

Narambaatar, il monaco a capo del monastero, ascoltò con aria indifferente:

« Perché ti preoccupi, fratello? Non è un problema nostro.»

Gansukh s’ inchinò in modo rispettoso: « Sì, maestro, ma quella ragazzina sembra determinata a rimanere là, fintanto qualcuno non le concederà udienza.»

« Si stancherà presto e se ne andrà -rispose l’ altro- Torna alla tua occupazione fratello!»

Il monaco guardiano sospirò, rassegnato, poi si inchinò e lasciò la sala delle cerimonie immersa nella semioscurità.

Le ore passarono con lentezza esasperante. Sulle mura, Gansukh, teneva costantemente d’ occhio ogni mossa della ragazzina, immobile tra le rocce, dove si era eretta un effimero riparo, per proteggersi dal vento e dal sole.

I falchi continuavano a sorvolare la zona e ogni tanto si lanciavano in picchiata emettendo alte strida.

Un paio di volte Tuya tentò di superare la barriera costituita dalle rocce, ma la natura franosa e l’ arrampicata erano ardue e pericolose per una ragazzina.

Dall’ alto della sua postazione, Gansukh l’ ammirò per la tenacia e il coraggio che la piccola dimostrava.

“ Tra poche ore sarà buio. Che farai lì da sola, piccola vagabonda? Monta a cavallo e vattene! “ pregò in silenzio.

Tuya in quel momento lo stava guardando e gli fece un cenno, come per invitarlo ad aiutarla. Allora lui le urlò, sporgendosi dalle mura: « Vattene via, piccola testarda! Non puoi entrare nel monastero.»

« Non posso andarmene! - gli urlò di rimando lei - Mio padre mi ha indicato questo luogo e io gli ubbidirò!»

Il monaco si meravigliò: « Da dove vieni? Sei forse straniera? Tuo padre ignora il fatto che al monastero l’ ingresso è interdetto alle donne?»

Tuya rimase in silenzio. Possibile che suo padre si fosse sbagliato? E se non poteva entrare nel monastero, dove avrebbe potuto andare da sola?

La ragazzina iniziò a tremare, non poteva rimanere sola ancora lungo. Aveva bisogno di qualcuno che sia occupasse di lei. Alla sua età non era in grado di badare a se stessa.

La mente di Tuya tornò indietro nel tempo. Non ricordava chiaramente, però, scavando nella memoria, emergeva il viso dolce di sua madre e in quel momento le balenò alla mente la sua voce: “ Tu sei una ragazzina speciale, Tuya. Le stelle hanno scritto il tuo destino e tu lo affronterai con forza e determinazione. Sarai la guida e la salvezza per il nostro popolo e un giorno riuscirai a sconfiggere l’ usurpatore. “

La stessa frase pronunciata dal padre. La ragazzina tornò al presente e strabuzzò gli occhi. Che significato avevano quelle parole? Le aveva ricordate davvero o appartenevano a un sogno?

Poi si ricordò del lembo di stoffa affidatole da suo padre. Si era raccomandato che indossasse la fusciacca, ma lei se n’ era dimenticata.

Tuya la estrasse dalla sacca e la scrutò con attenzione. Sulla stoffa di seta nera era incisa una frase in strane lettere dorate. I caratteri dovevano essere molto antichi in una lingua sconosciuta e brillavano come avessero vita.

Rimase ad ammirarla per un po’ cercando di decifrare la frase e poi se la annodò in fronte.

All’ imbrunire, Soffio Impetuoso tornò dal pascolo e le si distese accanto.

La ragazzina sospirò, grata per la presenza dell’ animale e del senso di protezione che le ispirava. Con lui vicino si sentiva più sicura e dopo pochi minuti si addormentò.

La notte trascorse abbastanza tranquilla, a parte qualche sprazzo di incubo relativo all’ assalto e alla fuga dal villaggio.

Il mattino dopo fu ancora fratello Gansukh a sporgersi dalle mura.

“ Quella ragazzina è ancora là! -pensò, seriamente preoccupato -occorre che scenda per sincerarmi delle sue condizioni. “

Al monastero si accedeva soltanto con un montacarichi azionato a mano dai monaci tramite un antico sistema di funi e pulegge, di conseguenza frate Gansukh fu costretto a domandare aiuto a un altro monaco perché azionasse il marchingegno.

Il montacarichi si mise in modo con un sonoro cigolio d’ ingranaggi attirando l’ attenzione della ragazzina, che lo osservò con lo stupore tipico di una fanciulla non avvezza a simili meraviglie.

Frate Gansukh era giovane e agile e appena a terra raggiunse in pochi minuti la base della collina, determinato a farle una ramanzina, ma data la natura franosa del terreno cosparso di rocce scese con cautela stando ben attento a dove poggiava i piedi, così si accorse della fusciacca solo dopo averla raggiunta.

Il monaco si immobilizzò con un’ espressione incredula sul volto, la bocca aperta e un passo compiuto solo per metà. « Per tutte le stelle!» Non si trattava di una vera imprecazione, ma se ne pentì all’ istante e si inchinò tre volte e con fervore verso il monastero.

« Non avrei mai creduto di vedere una cosa del genere!» esclamò tra sé raggiungendo la ragazzina. Quel lembo di stoffa era considerato sacro ed era stato perso di vista da secoli. Nessuno al monastero sapeva che fine avesse fatto, si sapeva soltanto che un giorno era scomparso misteriosamente dalla teca in cui era conservato da tempo immemore e se ne erano perse le tracce.

Lui ne aveva potuto ammirare le raffigurazioni sul libro sacro del monastero e sugli antichi papiri conservati nella “ Sala della Sapienza” e in quel momento era lì, sotto i suoi occhi, a cingere la fronte di una piccola vagabonda.

Gansukh si riprese a fatica dalla sorpresa e domandò:

« Ieri mi hai detto che ti ha mandato tuo padre. Dove si trova adesso e come si chiama?»

Tuya spalancò gli occhi su di lui rimanendo un attimo in silenzio. Sembrava turbata e prossima alle lacrime, poi l’ emozione la travolse e balbettò:

« Arjun, mio padre si… chiamava ... Arjun.»

Il monaco intuì che doveva essere accaduto qualcosa di terrificante altrimenti, la ragazzina non avrebbe usato il passato riferendosi al padre.

Non volle forzarla con ulteriori domande, tanto la sua decisione l’ aveva presa: avrebbe condotto la fanciulla alla presenza del Gran Maestro, anche se questo avrebbe comportato infrangere la legge millenaria del monastero.

« Vieni con me!» le disse, porgendole una mano.

Tuya esitò, lo sguardo volto verso Soffio Impetuoso. Il monaco ne indovinò la preoccupazione: « Sta tranquilla. È un cavallo nato selvaggio e molto intelligente se è riuscito a condurti fino a qui. Saprà cavarsela da solo.»

La ragazzina posò una mano sul manto dell’ animale, poi accostando la sua guancia sul suo muso, gli sussurrò: « Grazie per avermi condotta fino a qui e per avermi protetta. Sono sicura che ci rivedremo presto!»

Il cavallo scosse la testa su e giù più volte, poi le diede una piccola spinta con il muso e Tuya affidò la sua mano in quella del monaco.

Il guardiano che aveva aiutato Gansukh a manovrare il montacarichi rimase interdetto, ma il giovane monaco gli fece notare la sacra fusciacca e l’ altro, sebbene fosse stato pronto a contrastare l’ ingresso della ragazzina, capitolò.

Tuya fece il suo ingresso nell’ edificio seguita dallo sguardo costernato dei monaci, che si radunarono in fretta formando un improvvisato corteo dietro i nuovi arrivati.

Il Gran Maestro era già stato informato del loro arrivo e li attendeva nella sala delle udienze.

Gansukh non sapeva cosa attendersi dal superiore. Come avrebbe reagito alla presenza femminile in quel luogo riservato in esclusiva agli uomini?

Da lì a poco lo avrebbe saputo.

L’ ampio locale era immerso nella penombra; solo nei punti strategici illuminato dal riverbero delle molteplici candele accese nei candelabri. Il silenzio era profondo e il passo dell’ adulto e della ragazzina risuonarono con un po’ di rimbombo sull’ impiantito.

Naranbaatar, il Gran Maestro, era circondato dai monaci più anziani e dalle loro espressioni truci sembravano pronti ad attaccare verbalmente il colpevole di quel sacrilegio.

Il monaco s’ inchinò davanti al superiore, ma questi aveva già lo sguardo puntato sul lembo di stoffa che cingeva la fronte della ragazzina.

« Oggi è giorno di gaudio per il monastero. La profezia si è compiuta! Il simbolo della pace e della saggezza è ritornato tra noi.» scandì con voce altisonante. Il sant’ uomo porse una mano a Tuya attirandosela con garbo al fianco e mostrandola a tutti i monaci presenti.

« Fratelli, inginocchiamoci tutti davanti alla sacerdotessa e custode della pace!»

I monaci si guardarono sbigottiti, poi a uno a uno piegarono le ginocchia a terra, seguendo l’ esempio del loro superiore.

continua...


Vivì 25/02/2021 19:08 1 584

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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«Tuya, è lei la protagonista di questo racconto... una bambina di undici anni che improvvisamente deve scappare dal proprio villaggio per salvarsi... Lo stregone del villaggio è il padre e le affida un compito gravoso che la vedrà sicuramente protagonista... il futuro del loro popolo è nelle sue mani e solo lei potrà salvarlo da una fine certa... tutto dipenderà dal suo arrivo al monastero della Roccia Sacra... E qui, raggiunto il monastero, entra in scena un monaco giovane, Frate Gansukh che sicuramente avrà un ruolo importante in questa storia ... intanto la piccola viene accolta dai monaci con rispetto e devozione ... il lembo di stoffa antico ebbe l’effetto sperato... Il padre non si era sbagliato... l’avventura può aver inizio...»
Giacomo Scimonelli

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