Chissà se sono gli scrittori che leggiamo a influenzare il nostro modo di vedere le cose, o se li scegliamo quando ci accorgiamo che la pensano come noi? Forse entrambe le ipotesi sono valide, con una maggiore attendibilità della seconda (quegli scrittori, noi li divoriamo, perché la nostra lettura scorre velocissima su una superficie liscia, resa tale dal nostro precedente rimuginare sugli stessi argomenti) .
A me piace tantissimo Patrick Modiano: ammiro la sua capacità di scrivere storie (vere o verosimili poco importa) in cui di solito il protagonista si mette alla ricerca, dopo tanti, tantissimi anni, di una persona conosciuta in gioventù e della quale ha perso le tracce, con una meticolosità e una pazienza che amerei tanto anch'io usare, ma delle quali possiedo soltanto qualche modesta briciola.
Fu anche leggendo alcuni romanzi di Modiano, all'inizio del nuovo secolo, che mi tornarono in mente delle storie personali, fino ad allora credute morte e seppellite; in particolare mi ricordai abbastanza lucidamente di una ragazza tedesca conosciuta nel 1973 a Caen, durante un corso estivo di lingua francese per stranieri (la chiamerò Martrun, per conferirle un nome pseudoteutonico, simile a Gudrun) .
Era forse il mio secondo giorno di permanenza in quella città normanna, e stavo, credo, sorseggiando un caffè al bar dell'Università quando (non l'avevo ancora notata) la vidi improvvisamente avvicinarsi a me, quasi spinta (ebbi l'impressione) da un paio di ragazze (italiane, seppi poi) che si trovavano con lei. Martrun mi fece un bel sorriso, dicendomi chiaramente che voleva fare amicizia con me. Credo di non essere mai stato un tipo capace di far colpo sulle donne, e francamente rimasi allo stesso tempo lusingato e un po' imbarazzato da quel suo comportamento. Col passare dei giorni ci frequentammo sempre di più, e tra noi nacque un flirt, soltanto soft per vari motivi: per la mia (e sua) sostanziale timidezza, per il fatto che tra noi s'intromettevano spesso quelle due ragazze italiane, perché lei mi parlava di un fidanzato che frequentava la stessa sua Università tedesca di Aachen (un certo P . che, a suo dire, le mandava lettere scritte col proprio sangue, anche se non me ne fece mai vedere una, come non mi fece mai vedere una sua fotografia), perché io pensavo costantemente a una ragazza che credevo di amare e che avevo lasciato a Napoli, ecc.
Alla fine del corso, durato una ventina di giorni, al momento della separazione ebbi la sensazione di una (dolce) coltellata al cuore, una sensazione che, però, durò soltanto poche ore, durante la prima parte del viaggio in treno che mi riportava a casa, perché quando si è molto giovani le distrazioni e le tentazioni si presentano con elevata frequenza, e basta poco per dimenticare ogni esperienza che si era momentaneamente creduta rilevante.
Passarono decenni praticamente senza che il ricordo di Martrun si presentasse più alla mia mente, fino a quando comprai per la prima volta un romanzo di Modiano: in esso si leggeva la vicenda di un uomo circa della mia età che si metteva alla ricerca (risultata poi fruttuosa, anche se deludente) di una sua amica di gioventù (degli ultimi anni Sessanta) .
Non avevo ancora il computer: prendevo in giro i colleghi e le colleghe che lo usavano per dei lavori che secondo me era più comodo fare con la penna, i conoscenti che lo sfruttavano per giocare, le parenti che vi ricercavano ricette di cucina... Ma avevo sentito dire che quello strumento permetteva anche di conoscere tutto (o quasi) di tutte (o quasi) le persone sparse in tutto il mondo (o quasi) . Decisi pertanto di comprarlo, essenzialmente per avere notizie di Martrun.
Digitai i nomi delle persone che avevo conosciuto a Caen, ed ebbi piacevoli sorprese: F . B . era diventato professore universitario di Sociologia in Germania; la tedesca M . L . si era probabilmente trasferita in Brasile, ed inseriva in Internet bellissime fotografie di Rio de Janeiro; R . B . (che a Caen con sua sorella si divertiva a farci delle lezioncine di psicologia) era diventata, a Milano, professoressa universitaria, ed aveva pubblicato vari libri sulla letteratura italiana e latina con Feltrinelli...
Il giapponese M . M ., poi, merita un discorsino a parte. Era già un giovane professore universitario di Letteratura francese in Giappone quando lo conobbi (aveva poco più di trent'anni allora, una decina più di me), ed Internet confermò che lo era ancora, mostrandolo, palesemente invecchiato ma sempre sorridente, mentre tiene delle conferenze negli Stati Uniti. Quando, a Caen, mi misi a parlare con lui, avevo timore di fare qualche figuraccia in francese (io ancora studente e lui già professore universitario!) , ma la paura mi passò presto, perché scoprii, dopo uno scambio di poche frasi, che praticamente io mi esprimevo in francese il doppio meglio di lui (feci allora una riflessione che credo giusta, e cioè che la facilità dell'apprendimento di una lingua straniera, da adulti, è direttamente proporzionale alla somiglianza di essa con la lingua materna) . Il professor M . M . mi fece allora, a sua insaputa, un prezioso regalino. Mi spiegò che il suo cognome significava "foresta" e che si rappresentava con un semplice ideogramma, vagamente rassomigliante a un insieme di alberi, praticamente con una T dalla cui sommità scendevano due piccole aste che si divaricavano: erano in pratica le mie iniziali, una T e una A sovrapposte (alla A mancava soltanto l'asticella orizzontale) . Il mio nome e il mio cognome insieme non sono brevi, ed è faticoso scriverli tante volte, per cui, quando insegnavo e dovevo firmare molti compiti, ricorrevo a quello stratagemma: se esistono ancora, quei compiti risultano essere stati firmati dal mio amico giapponese!
Digitai tante volte il nome di Martrun, ma invano. Allora mi ricordai di una di quelle due ragazze italiane che a Caen stavano spesso vicino a lei, ne ritrovai l'indirizzo e inviai una lettera a Palermo. Ebbi una risposta gentile e precisa, ma piuttosto fredda (ho la vaga impressione che forse i Palermitani e le Palermitane, quando vogliono, sappiano essere gli Italiani più reticenti), in cui quella ex ragazza mi diceva di avere intrattenuto scambi epistolari con Martrun solo fino al 1986; nelle ultime lettere si firmava con un cognome diverso (forse si era sposata), ed il suo ultimo indirizzo era il 99 della Grenzstrasse di una cittadina non molto lontana da Aachen.
Cercai, in Internet, i possessori dei numeri di telefono del civico della strada, ma né il suo nome né il suo cognome c'erano; come ultimo tentativo, inviai ugualmente una lettera a quell'indirizzo, ma senza nessuna speranza.
La lettera non tornò indietro, e circa una settimana dopo, alle tre di notte del 19 aprile 2013, squillò il mio telefono. Non mi alzai, pensando a qualche errore o a qualche seccatore. La mattina, però, mi venne il dubbio: e se fosse stata Martrun? In questo caso, due potevano essere le possibilità: o non aveva più tanto la testa a posto per telefonare a quell'ora, o si trovava in America (magari anche lei in Brasile, come M . L .) , dove le efficienti poste tedesche le avevano fatto recapitare la mia missiva e dove erano le nove o le dieci di sera...
Ormai non potrò più sapere la verità, e forse è meglio così, è meglio avere evitato la probabile delusione di un contatto dal quale sarebbe quasi sicuramente emerso come io e lei siamo cambiati (in peggio, ciascuno a suo modo) dopo così tanti anni!
Talvolta rileggo l'ultima pagina di uno dei più recenti romanzi di Patrick Modiano, "L'orizzonte", in cui il protagonista, alter ego dello scrittore, dopo quarant'anni riesce ad avere informazioni certe su una sua vecchia fiamma, e si reca a Berlino per incontrarla; il romanzo si conclude in una maniera piuttosto nebulosa, che lascia una porta aperta alla possibilità della rinuncia all'incontro: "Tra poco sarebbe entrato in libreria. Non avrebbe saputo esattamente come iniziare la conversazione. Forse lei non lo avrebbe riconosciuto. O si era dimenticata di lui. In fondo le loro strade si erano incrociate per un lasso di tempo molto breve. (...) Per tanto tempo aveva pensato che Margaret fosse morta. Non c'è ragione, no, non c'è ragione. (...) Era stanco perché aveva camminato tanto. Ma per una volta provava una sensazione di serenità, era certo di essere tornato nel punto esatto da dove era partito, nello stesso posto, alla stessa ora e nella stessa stagione, come due lancette che si ricongiungono sul quadrante quando è mezzogiorno. Fluttuava in una specie di torpore lasciandosi cullare dalle grida dei bambini nel giardinetto e dal mormorio delle conversazioni attorno a lui. Le sette di sera. Rod Miller gli aveva detto che lei teneva aperta la libreria fino a molto tardi. "