Che mi succede? Ridde di idee e di immagini mi si accavallano nella testa e premono per uscirne. Non riesco a controllarle. Per un verso provo godimento a questo accesso di creatività, per un altro ne sono angosciato. Da dove mi vengono questi pensieri così inusuali, anzi estranei?
Ho trascorso la vita ad incanalare la mente verso la razionalità ed ora mi sento informe e fluido come un’ enorme massa d’ acqua che, non più trattenuta dalla diga, squarcia le poderose mura di cemento. All’ inizio è appena un foro, poi un canale, un torrente impetuoso impaziente di scorrere, infine tutta la struttura cede sotto i colpi d’ ariete del flusso incontenibile. Le immagini si traducono in parole esatte che ignoravo di conoscere, corrono lungo il braccio indolenzito dalla tensione, si riversano tumultuose sui fogli a lettere grandi, sconnesse, che consumano rapidamente la carta e la punta della matita, ridotta ormai ad un moncherino che devo continuamente affilare. Il mozzicone mi preme sulle dita, ha scavato un solco doloroso nel medio, con la coda comincia a ferirmi l’ incavo tra il pollice e l’ indice. Non riesco a fermarmi. La corrente delle parole è inarrestabile, i verbi si materializzano scoppiettando e prendono al laccio i sostantivi, aggettivi e avverbi e li mettono in fila sul foglio.
Dio mio, che mi sta succedendo? Ho paura.
Ho un cancro!
Il pensiero mi attraversa il cervello come un fulmine devastante. Sono atterrito. Ci deve essere un mostro che mi divora i neuroni e ne fa sprizzare scintille. Ecco da dove viene questa tempesta di idee che mi squassa la scatola cranica. Sento la massa cerebrale gonfiarsi, sta per esplodere. Mi viene in mente un’ immagine strana e disgustosa: finirò per insozzare tutte le pareti, e anche il pavimento.
È un cancro! Ma non può essere. Non ho mai avuto sintomi. Mi devo fare le analisi. Che ne sarà di me?
Basta, basta, allontano a forza quest’ orribile pensiero. La verità è che le emozioni, alla fine, si sono prese la loro rivincita. Per anni bistrattate, relegate in un profondo cantuccio della mente, sono riuscite, in sordina, a venire in superficie e poi ad irrompere fuori scatenando questo temporale.
Per poco non investivo la bella signora.
Mi ha guardato con forte disapprovazione. Ho sollevato le braccia in segno di scusa. Ho aperto la portiera della macchina e ho esclamato banalmente << Mi scusi, ero distratto>>. Lei ha appena accennato una risposta ed è corsa via. Però, che bel culo a mandolino! Se fossi stato più pronto avrei potuto attaccare bottone. Ci sono: è la primavera! È lei che mi squassa gli ormoni. Sì, sì, ne sono sicuro. In effetti provo quasi un orgasmo nello scrivere. Mi compiaccio delle parole, del loro suono, del torrenziale flusso che si allinea in belle espressioni. È la primavera, menomale! Devo registrare tutto prima che finisca. Accidenti al mozzicone, devo appuntarlo ancora. La nuova punta mi si spezza. Adesso è diventato un mozziconcino, non riesco quasi ad afferrarlo. Ma dove stanno le matite? La bella signora, peccato! Ma ora è meglio che mi fermi in qualche piazzola. Devo stare attento, non devo guidare, però non voglio che mi passi. Prima che finisca questo stato devo buttar giù tutto quello che mi viene in mente.
Ho i crampi alla mano e all’ avambraccio. Devo allentare la tensione muscolare. Ecco, devo far scorrere la matita senza irrigidire il braccio e la mano. Non è facile, appena mi distraggo i muscoli si ricontraggono. O penso a loro o alle parole. Perché proprio questa primavera? Adesso sono esausto. Ho scritto tre racconti di getto, tutto quello che sono riuscito ad afferrare. Mi ero parcheggiato proprio di fronte al cancello di un residence e mi hanno strombazzato.
Ho dovuto spostarmi. Sarà passata un’ ora, no forse meno. Ma qualcuno potrebbe insospettirsi e chiamare la polizia. Ah, vediamo se ho il libretto, i documenti saranno tutti a posto? Non riesco a focalizzare. Devo scrivere. Devo rifare la punta al mozzicone. Breve pausa. Finalmente ho cambiato matita. Il moncherino era una 3B, matita morbida, da disegno ornato, una Fila forse. Quest’ altra è una n. 2, HB, Staedtler, è parecchio più dura ma si consuma meno. Dove stavo? Sto divagando.
Devo controllare il flusso dei pensieri.
Forse dovrei usare un registratore. Uno di quelli che si vedono nei film in mano a scosciate segretarie mentre registrano conferenze d’ affari di avidi sporcaccioni. Ma forse costano troppo.
In compenso però potrei parlare mentre le idee mi vengono in mente e nel contempo guidare.
No, guidare no. Prima stavo investendo la signora. Che bona, peccato! La strada era scomparsa, eppure erano le 9: 30 di una chiara mattina. Al suo posto sfilavano queste assurde immagini che cerco di rincorrere e fissare sul notepad a quadretti. Poi ho sentito il colpo sul cofano e sono ritornato in questa realtà. La signora si appoggiava al cofano e mi fissava con forte aria di rimprovero. Aveva un bel viso, lunghi capelli e un completo marroncino, maglia e pantaloni.
A ripensarci non le ho neanche chiesto se si fosse fatta male. Non me ne ha dato il tempo.
Accidenti a me, fossi stato meno distratto avrei potuto attaccare bottone. Però forse l’ incidente non sarebbe avvenuto. Ma proprio stamattina mi doveva prendere? Comincia a far caldo, ma tira anche una fresca brezzolina. Il cielo è di un celeste doloroso, i colori del bosco più vividi che mai, tutti i colori sono troppo luminosi, persino lo sconnesso asfalto grigio di questa strada vicinale.
È la primavera! Ma non sarà il mio canto del cigno? L’ ultimo colpo di coda? Mi devo trovare un editore. Ho scoperto la mia vocazione. Meglio tardi che mai. Ma adesso basta, sono sfinito.
Non vorrei però perdermi queste stupende immagini. Mi vengono in mente tante storie, tutte insieme, si rincorrono, si succedono come a puntate, s’ intrecciano, si scambiano. Ma adesso basta. Sia quel che sia. Sono arrivato al supermercato. Scendo dalla macchina. Mi sento come quella volta quando stavo alla casa dello studente. Devo appuntare anche questa matita. La devo pure spostare più giù, fuori dal solco del dito che mi fa male. Breve pausa. Ero scappato perché c’ era stata l’ ennesima irruzione della polizia. Un periodo infernale, gli esami da fare seduti sulla balaustra con il libro in mano, una gamba di dentro e una di fuori pronti a saltare dalla bassa balconata in fuori sul campo polveroso. Avevo perso di vista i compagni. Dio, perché sto ricordando queste cose? Vagavo senza meta nei dintorni dell’ università allorché incontrai Sarah. Era spaventatissima << Ciao Angelo, anche tu sei riuscito a scappare per fortuna!>> << Sì, un’ altra retata, che palle, non si vive più, ed io che ho gli esami tra poco>> << Non trovo più Guido>> rispose preoccupata Sarah. Guido era il suo fortunato ragazzo. Osservai quella fiammante rossa con intenso desiderio. Eravamo soli, una situazione romantica: incalzati dalla polizia. I miei sogni più segreti si materializzavano, al di là di ogni aspettativa. Capii che si era accorta del mio sguardo particolare e accennò uno strano sorriso. << Senti, allontaniamoci da qua>> le dissi.
Vagammo per il quartiere, lontano dalla residenza.
Quante cose ci dicemmo. Camminavo leggero, con un passo da nuvola, mi sembrava un sogno.
Il quartiere degradato mi appariva, per la prima volta, di un’ incredibile bellezza popolare.
Capii finalmente Pasolini. E capii Sarah. Lei era stata l’ oggetto dei miei segreti pensieri. Ora era lì, abbracciata a me. Adesso era più distesa, contenta, direi proprio felice. Mi sembrava di vederla per la prima volta e, mentre parlava, compresi che non era solo uno splendido corpo addobbato per provocare, ma un cervello con delle idee. Il mio desiderio saliva. Come una febbre. Era ora di pranzo. Andammo a scovare una trattoria convenzionata. Una materna signora ci accolse con complice sguardo mentre ci ammanniva, nonostante i nostri buoni universitari, gustose pietanze.
Ci guardava teneramente tubare. Come eravamo giovani Sarah! Dove sarai ora?
Uscimmo ben rifocillati dalla trattoria, seguiti dalla benedizione della signora che ci raccomandò qualcosa a proposito dei figli. Ci veniva da ridere. Che equivoco! Ci abbracciammo più forte e Sarah mi baciò dolcemente, lentamente, con complicità. Quel bacio profumato, di carne morbida, un po’ umida, mi perseguita da allora. Quella sensazione tattile è registrata indelebilmente in un riposto cantuccio del mio sistema nervoso.
Continuammo a girovagare, un po’ celiando un po’ parlando seriamente, toccandoci, esplorandoci. Poi, nel bel mezzo di un giardinetto, lei si fermò. Mi squadrò pensierosa e mi disse serissima << Andiamo in un albergo?>>. Io rimasi di sasso, forse arrossii intensamente.
Ero tutto scombussolato. Dentro di me avevo già risposto << Certo, conosco una pensioncina carinissima, pulita e decorosa, andiamo!>> << A quest’ ora la polizia sarà andata via, andiamo a vedere se troviamo Guido>> invece le risposi. Un’ ombra di disappunto passò per un attimo nei suoi splendidi occhi verdi, ma poi, appena accennando un sorriso da madonna del Bottaio, mi si strinse teneramente al braccio con un sospiro << Va bene, andiamo>> sussurrò.
Così c’ imbattemmo in Guido che si aggirava preoccupato e trafelato << Sarah!>> esclamò sollevato << Finalmente! Stai bene?>> e si precipitò ad abbracciarla. << Come sono stato in ansia per te! Ma è tutto finito. La polizia è andata via, possiamo rientrare>>. Poi s’ immobilizzò per un attimo.
I bei lineamenti gli si alterarono leggermente, si capiva che un’ idea disturbante cominciava ad insinuarsi in lui. Mi guardò con sospetto << Che avete fatto di bello?>> chiese sforzandosi di essere indifferente. Ed io gli raccontai i nostri giri ma, ovviamente, tacqui di tutto il resto. Nonostante ciò egli guardava imbambolato prima me e poi Sarah, cercando di capire cosa fosse realmente successo tra noi. Finalmente si scosse dalla sua fissità, i delicati lineamenti gli si ridistesero, prese sottobraccio Sarah e si allontanò salutandomi e ringraziandomi per aver badato a lei.
Rimasi lì, svuotato, deluso, biascicando anch’ io un saluto.
Sarah, da lontano, si voltò, alzò la mano e mi salutò civettuola spedendomi un luminoso sorriso.
Fu l’ ultima volta che la vidi. Di lì a poco la sessione estiva sarebbe finita e il mio periodo alla casa dello studente scadeva.
Per l’ estate sarei andato al paese. Al ritorno, per finire l’ università, mi sono trovato un appartamento in un lontano quartiere.
Prendo un carrello ed entro nel supermercato.