Era sul far della sera e la piccola Maria, a piedi scalzi, come
soleva tutte le sere, trotterellava accanto alla sua vecchia nonna per raccogliere qualcosa di utile dai cassonetti.
I capelli spettinati e il visetto sporco s'intravedevano sotto un
vestitino misero e liso.
Rientrate nella loro casupola di una stanza mezzo diroccata mangiavano il poco desinare che la vecchia racimolava nella giornata chiedendo l'elemosina.
Una sera di ottobre, il freddo cominciava a farsi sentire e nel
caminetto c'era un piccolo ciocco che bruciava quando la vecchia e la bambina sentirono bussare alla porta.
La vecchia aprì mentre Maria spaurita si rintanò sotto al tavolo mezzo sgangherato appoggiato a un muro della stanza.
Era il parroco del paese e una signora, che la vecchia fece entrare.
Loro parlando del più e del meno scoprirono a poco a poco la storia di Maria, che era figlia della figliola della vecchia.
La donna erano quattro anni che non dava più notizie di sé e ne chiedeva notizie della bambina e della vecchia mamma.
Maria neppure ricordava il viso di sua madre, solo la conosceva da una vecchia foto che la vecchia aveva sul comodino accanto al letto.
Bella donna dai capelli corvini, si era innamorata di un uomo sposato.
Dalla loro relazione era nata Maria, ma lui alla notizia della nascita della piccina era scomparso e partito per l'America con la famiglia non si fece vedere più dalla mamma di Maria, che disperata non amava la figlia, causa del suo dolore, e un giorno partì anche lei per la Francia o la Svizzera e non dette più sue notizie.
La vecchia nonna si interessava della piccina, ma gli anni passavano e non stava più bene in salute.
Viveva di stenti e un giorno confessò al parroco di aiutarla per sistemare Maria in un orfanatrofio.
Il parroco così quella sera era arrivato con un'assistente sociale e la nonna, messi in un grande fazzoletto da spesa i pochi stracci della piccina, con le lacrime agli occhi la consegnò alla signora.
Maria era triste e piangeva, le dispiaceva di essere allontanata dalla sua cara nonnina, l'unica persona che le voleva bene.
Così fu portata nell'orfanatrofio e per lei cominciò una nuova vita.
Lì c'erano tanti bimbi, quasi tutti più grandi della piccina.
Le facevano i dispetti, le rubavano il mangiare a tavola...
Solo nei fine settimana andava nelle case famiglia e allora per due o tre giorni veniva trattata bene.
Lei sperava sempre che la lasciassero stare con loro, ma
queste famiglie la riportavano in istituto e così ricominciava la vita di sempre.
Maria rimpiangeva la vecchia nonna; vivevano di stenti, ma lei le voleva bene...
La piccola piangeva tanto ed era sempre triste; aveva contratto anche una tosse che non la faceva star bene.
Giorno per giorno deperiva sempre di più.
Una suora ne parlò con l'assistente sociale, vennero a trovarla tante persone, e anche un medico.
Maria doveva al più presto trovare una famiglia dove vivere, in orfanatrofio non poteva più stare.
Un giorno di primavera mentre sgranocchiava un pezzo di pane in giardino e osservava le formichine che
raccoglievano le briciole, la superiora la chiamò e le presentò un signore con sua moglie.
La signora era elegantemente vestita, le sorrise e la fece sedere sulle sue ginocchia.
Intanto la madre superiora parlava con i signori presentando loro la bambina.
Come era bello sentirsi abbracciata da quella signora, che le carezzava la testlina dai capelli corti corti per via dei pidocchi che giravano in orfanatrofio.
Un'altra suora preparò le poche cose di Maria e così i signori la portarono via con loro.
I giorni passavano e la bambina non fu più portata in orfanatrofio, ora era felice, ma timorosa che la portassero indietro come un pacchetto e come avevano fatto tante altre volte delle famiglie.
In orfanatrofio non tornò più, ora aveva anche lei una mamma e un papà, era felice, giocava con gli altri bambini, a scuola studiava volentieri e nessuno dal piatto le rubava
più nulla: era proprio in una famiglia vera ...