IL PROFUMO DELLE ROSE
Ruderi seminati ovunque fatti da bombe non intelligenti, ecco così era il paesaggio che circondava la mia casa nel 48
Si, abitavo in città,ma come si poteva chiamare città, se non aveva nemmeno l'aspetto. Tutto sembrava grande, come le montagne di calcinacci, per me invalicabili.
Oltre, le alte mura della caserma, il silenzio suonato da una tromba anonima conciliava il mio sonno la sera, favoriva la fantasia, sognavo prati verdi e boschi e alte vette innevate, luoghi in cui avevo vissuto nel periodo della guerra.
La mia malattia rendeva mia madre ansiosa oltre misura, ero prigioniera delle sue paure dei suoi sensi di colpa infondati, che crescevano in lei ad ogni mio rafreddore.
Le troppe maglie nella stagione invernale, mi rendevano goffa e impacciata, e il colore tenue della mia pelle favoriva la sua iperprottetività.
Quando nevicò quell'inverno, ne venne giù talmente tanta, che il giardino aveva dei piccoli viottoli tra alte pareti bianche che conducevano al pollaio, e il cancello di accesso al giardino.
Nei cumuli di neve c'erano i bambini che giocavano, avevano il volto arrossato dal freddo, pochi avevano la sciarpa e i guanti, ma erano felici, io li guardavo dalla finestra della cucina, ammiravo anche il pupazzo di neve che mi aveva costruito lo zio, non potevo uscire io potevo solo guardare.
Poi arrivò la primavera tanto agonista, potevo uscire con le calze di lana fatte a ferri dalla nonna, la lana era grezza e provocava un fastidioso prurito alla pelle, ma non potevo toglierle, pure le maglie erano fatte a mano. Con l'arrivo della primavera scappai anche da Marisa la mia migliore amica compagna delle lunghe giornate invernali, lei era stata colpita dalla polio e costretta in una carrozzella.
I ruderi erano la dove li avevo lasciati, la primavera si era impossessata di quelle mura cadenti e tra loro inizia a crescere il verde, rami di edera andavano ad abbracciare ciò che un tempo era pieno di vita, ora un paesaggio grigio e decadente.
Tra i miei giochi preferiti era il nascondino, mi intrufolavo nei posti più impensati e avevano voglia i bambini a trovarmi se non uscivo di mia spontanea volontà.
Era divertente entrare in quelle stanze per scoprire cose nuove, stanze dove scoprivo suppellettili o pentole arrugginite dal tempo, camere da letto dove si poteva rammentare chi aveva vissuto, drappi di tende alle finestre che tra i brandelli lasciavano penetrare la luce, e i raggi creavano giochi fantasiosi, qualche quadro ancora appeso alla parete un po' sbilenco e impolverato dava volto ai morti.
Tutto voleva rinascere e gli alberi di limoni erano in fiore, altri determinavano i viali del giardino, più in là archi di rose rampicanti crescevano senza forma, quasi volessero sfidare l'amara sorte della vita.
Era il mese di maggio quando decisi di inoltrarmi verso quegli archi invitanti dai colori che andavano dal bianco e rosso fuoco delle rose rampicanti, che imperterrite crescevano.
La natura non conosceva guerre e obbediva solo all'inesorabile andamento delle stagioni, avevo deciso di raccogliere i petali di quelle rose per portarle alla processione della domenica, mi inoltrai con il cestino e ne raccolsi tanti da riempirlo
Oltre che i petali portavo il loro intenso profumo, ci misi tutto il pomeriggio, ritornando a casa pensai a Marisa, lei non poteva vedere il mio giardino fiorito e mi rammaricai portai a lei le rose,
Fu allora che programmammo la nostra fuga, nel pomeriggio del giorno successivo andai a prenderla per una passeggiata con la carrozzina ci avviammo lungo il viale oltre il cancello passammo a fianco alle mura e si avviammo oltre, fu la marachella più grande della mia vita,
La mamma ci trovò verso sera quando il sole andava verso il tramonto, per lasciar spazio alla luna, io ero distesa sul prato, mi ero liberata delle maglie ingombranti
E Marisa era sotto l'arco delle rose che si inebriava con il loro profumo.
Inutile rammentare il castigo, ne era valsa la pena, io libera dalla fobia di mia madre, lei tra le rose che non avrebbe mai visto se non l'avessi portata io, la sua gioia valeva più di tanti castighi, ritornammo ancora in quel parco ma non da sole con altri bambini a cui avevo svelato il mio segreto, tutti dovevano conoscere il profumo delle rose rampicanti del giardino fatato.