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Il padrone

Sociale e Cronaca

L'azienda di Silvio si estendeva su una superficie di cinque ettari, densamente occupati da ogni tipo di fabbricati.

La sua circonferenza era recintata con un invalicabile muro, sormontato da robusti e pungenti reticolati.

Tutto era cominciato poco più di vent'anni prima, quando, dentro ad un piccolo capannone costruito con grezzi mattoni e lamiere, aveva iniziato a produrre ed ammassare i suoi primi manufatti.

I suoi prototipi li aveva fabbricati da solo, ma già soltanto un anno dopo una decina di persone lavoravano alle sue dipendenze.

Un po' perchè il mercato sembrava impazzito ed un po' perchè aveva ideato dei prodotti vincenti gli arrivavano massicce commesse.

Una certa difficoltà finanziaria iniziale fu presto superata e dimenticata ed il suo conto in banca diventava di giorno in giorno sempre più cospicuo.

Si ingrandiva a vista d'occhio, rimetteva in circolo i suoi guadagni per edificare un nuovo magazzino, per comprare un nuovo terreno, per costruire gli uffici, per acquistar macchinari sempre più moderni ed efficaci.

Anche il numero dei suoi dipendenti si andava dilatando in maniera considerevole.

Inizialmente aveva lavorato gomito a gomito con i primi operai, soltanto qualche anno dopo, seduto nel suo ufficio, osservava da lontano l'andamento della produzione.

Di tanto in tanto, gridando attraverso un altoparlante che comunicava con tutta la fabbrica, convocava i suoi collaboratori più fidati e dava loro tutte quelle disposizioni che riteneva opportune.

Poi le cose iniziarono a cambiare, il suo sviluppo esponenziale cominciò ad incrinarsi e la libertà di manovra su cui aveva fino allora potuto contare venne estremamente limitata.

Cominciavano a succedere cose che lo mandavano su tutte le furie.

Abituato da sempre a comandare senza alcuna opposizione, si trovò costretto a dare ascolto a un sacco di persone che gli intimavano quello che poteva e non poteva fare.

Quasi ogni giorno doveva fare orecchio da mercante davanti a sempre nuove delegazioni di sindacalisti che gli riportavano rimostranze e gli ricordavano tutti i suoi doveri.

Fu un momentaccio, si sentva bollire dalla rabbia, ma ugualmente doveva contenersi e fingersi accondiscendente.

Non passava mese senza che venisse indetto qualche sciopero, una volta si lamentavano per la mensa che non c'era, un'altra volta per il suo comportamento antisindacale, un'altra volta ancora per le condizioni di pericolosità del luogo di lavoro.

Ed ogni volta, lui che era il padrone, doveva abbassar la testa e subire le loro imposizioni.

Era un tipo autoritario, abituato ad alzar la voce e ad usare un linguaggio da caserma quando si rivolgeva ai suoi dipendenti, ma ora gli era stato imposto di trattare con cortesia le sue maestranze.

Allora quando dava un comando motteggiava con la voce una finta gentilezza, ne usciva un effetto farsesco che non bastava però a limitare il suo rancore.

Questa situazione perdurò per un bel pezzo e Silvio sembrava ormai essersi rassegnato a subirla, ma sembrava solo, perchè l'odio covava incandescente nel fondo del suo cuore.

Poi, finalmente, arrivò la crisi.

Dapprima le commesse iniziarono a tardare e quindi vennero a mancare.

Il lavoro languiva, molte fabbriche chiusero i battenti, tanti posti saltarono.

I troppi legacci da cui era stata avvolta l'impresa cominciavano a produrre i loro deleteri effetti.

Tutta la serie di obblighi e doveri scaricati sulla produzione avevano dilatato oltre misura il costo del lavoro, impedendo di fatto alle aziende di poter competere con la concorrenza straniera.

In alcune realtà del terzo mondo gli operai, per poche lire, lavoravano come negri, anzi come gialli, e prodotti uguali ai nostri venivano venduti a meno di metà del nostro prezzo.

Soltanto gli imprenditori più scaltri ed avveduti furono in grado di restare a galla.

Questi, più spietati e disinvolti, come altrettanti pescicani, non esitarono, pur di sopravvivere nel mercato ch'era divenuto stretto, a divorare i pesciolini incauti e incerti.

Silvio era uno di questi pescicani e, seppure con fatica, ne usci indenne.

Improvvisamente, dopo qualche ultimo colpo di coda, gli scioperi cessarono del tutto.

Le pretese sindacali andarono stemperandosi, limitandosi a qualche formale e limitata rimostranza solo per non alzare completamente bandiera bianca.

Tutti i caporioni rientrarono nei ranghi, cercando, anche i più protervi e accesi, di far dimenticare il loro passato militante.

Le maestranze, incontrando Silvio, ripresero ad essere ossequiose e deferenti.

Lui stesso provò a riassaporare il gusto del comando, ricominciò ad alzar la voce, dapprima con un certo garbo e quindi, non trovando resistenze, con sempre maggiore prepotenza ed arroganza.

Per tutti era grande il timore di trovarsi senza lavoro, da ogni parte arrivavano notizie di massicci licenziamenti e la situazione sembrava sempre più volgere al peggio.

Fu nel corso di questo mutato contesto che avvenne l'assunzione di Emilio da parte di Silvio.

Emilio si era appena diplomato ragioniere con il massimo dei voti.

Era sempre stato uno studente modello, studioso, posato, rispettoso dell'autorità e senza idee balzane per la testa.

Suo padre aveva lavorato alle dipendenze di Silvio fin quasi dal primo giorno in cui questi aveva avviato la sua azienda.

Era stato uno dei suoi impiegati più ossequienti e fidati, aveva seguito passo passo tutti i momenti del suo successo, dividendo spesso con lui tante avversità e tante soddisfazioni morali.

Non poteva dire altrettanto per le soddisfazioni materiali, in quanto, mentre il suo padrone ammucchiava un sacco di soldi e di proprietà, lui, pur di far quadrare il magro bilancio della sua famiglia, era costretto, un anno si ed uno no, a rinunciare alle sospirate ferie.

Emilio si trovò la strada spianata, già da molto tempo il padre lo raccomandava al suo padrone con le lodi più sperticate, la sua assunzione era perciò scontata.

Quando poi Silvio lo vide per la prima volta non ebbe più alcun dubbio.

Aveva una faccia identica a quella del padre ed anche i suoi modi di fare si discostavano in ben pochi particolari da quelli del genitore.

Emilio non si immaginava minimamente cosa lo avrebbe aspettato, anche perchè, suo padre, non gli aveva fornito alcun elemento per poterlo intuire.

Aveva sempre riferito del suo lavoro in maniera idilliaca, da quel che a Emilio era dato sapere, suo padre, oltre ad essere stato molto considerato dal suo titolare, era trattato con estrema cortesia e rispetto, diceva anzi spesso, con un moto di orgoglio, che il suo padrone non sarebbe andato neppure a prendersi un caffè senza prima consultarlo.

Basandosi su queste premesse restò per molto tempo frastornato, constatando come tutto sembrasse diverso da quanto egli si era immaginato.

Fin dal primo giorno Silvio cominciò ad apostrofarlo con gli epiteti più improponibili, lo assaliva con durezza e lo sottoponeva a comandi bruschi e perentori.

Ogni più piccolo pretesto era buono per rimproverarlo con offese volgari e gratuite.

Egli mancava completamente della capacità di respingere i suoi attacchi, un po' per la sua natura timida ed un po' perchè era stato educato che era estremamente negativo opporsi alle autorità, comunque queste si manifestassero.

Superato poi il primo sgomento, cominciò ad abituarsi a questa dimensione sopraffattoria e ad ingoiare con rassegnazione tutto quanto gli veniva buttato addosso.

Soltanto una volta fu sul punto di reagire contro il suo padrone e di saltargli addosso.

Capitò un giorno, quando questi, non sapendo più che offese inventare, gli disse “ lo credevo impossibile, ma tu mi sembri più cretino di tuo padre”.

Emilio adorava il padre, aveva fatto di tutto per essergli uguale proprio perchè lo riteneva irripetibile, sentire il suo nome offeso ed annientato in quel modo lo riempì di incontenibile rabbia, aveva rinserrato i pugni e stava, con le lacrime agli occhi, per balzare addosso a colui che aveva osato profanarlo.

Ma fu solo un attimo, poi rientrò nella sua personalità sottomessa ed ossequiente e da quel momento il suo grado di adattamento e sopportazione divenne totale.

Aveva paura del suo padrone e dover lavorare sempre nelle sue immediate vicinanze faceva si che fosse in preda ad una continua tensione.

Metteva il suo impegno per svolgere i suoi incarichi con la massima scrupolosità e spesso si fermava in ufficio ben oltre il dovuto per non lasciare nulla di incompiuto.

Tutto il suo agire era insomma diretto a che nessuna ombra oscurasse il suo operato e desse a qualcuno il minimo appiglio per rimproverarlo.

Nonostante questo il suo padrone lo aggrediva comunque, si divertiva a mettere, quanto più profondamente poteva, alla prova la sua resistenza, per misurare e rallegrarsi di quanto grande era il suo potere.

Emilio era diventato anche oggetto di scherno e derisione fra i suoi compagni di lavoro.

Lo avevano preso di mira, forse un po' per scaricare su qualcuno quanto quotidianamente dovevano subire ed un po' perchè erano irritati dal suo eccessivo scrupoloso impegno.

Più di una volta avevano sfigurato nei suoi confronti e per riuscire a tenerne il passo erano stati costretti ad aumentare il loro grado di applicazione.

Quando, Emilio, lavorava sotto lo sguardo attento di Silvio era così fortemente emozionato che tutte le sue abilità svanivano di colpo.

In quelle circostanze si bloccava completamente e non era più in grado né di agire né di pensare.

La grande paura che gli incuteva il suo capo lo rendeva incerto nelle parole e nei comportamenti.

Questa sua tensione difensiva otteneva inevitabilmente l'effetto di attirarsi addosso le esplosive re di Silvio che interpretavano, senza andare tanto per il sottile, quella sua paralisi emotiva come inettitudine ed imbecillità.

Questo sadomasochistico repertorio si era così fortemente radicato che era impossibile pensare potesse aver mai un ridimensionamento od una fine, tutto lasciava ragionevolmente supporre che si sarebbe trascinato così per sempre.

Quel venerdì sera Emilio aveva un appuntamento con Ornella, sarebbero andati a mangiare una pizza insieme.

Ornella era una ragazza molto carina che lavorava nell'altro reparto.

Aveva faticato molto per trovare l'occasione e la forza di rivolgerle quell'invito ed era perciò logico che ci tenesse molto acchè tutto andasse per il verso giusto.

Aveva lavorato sodo per tutta la giornata per evitare che qualche inconveniente gli impedisse di uscire nell'orario stabilito.

Silvio, avendolo osservato con attenzione più di una volta, intuì che aveva qualcosa in testa e che si stava impegnando più del solito per non essere, quella sera, disturbato da nessuno.

Capito ciò, aveva già automaticamente deciso che gli avrebbe messo i bastoni fra le ruote e gli avrebbe impedito di realizzare i suoi intenti, quella sera avrebbe dovuto recarsi ad una riunione e lo avrebbe portato con sé.

Suonata la fine del lavoro, dopo aver preso le sue cose, Emilio stava per uscire, quando sentì il padrone gridare imperiosamente il suo nome.

Si girò di scatto, tremante e nervoso, già in pena per il suo appuntamento che percepiva gravemente minacciato.

Il padrone con tono perentorio riprese “ dove stai andando? Stasera ho bisogno di te, devo incontrarmi con alcuni industriali e tu devi provvedermi di molti documenti e poi dovrai annotare molte delle cose che verranno riferite!” Emilio si sentì gelare e si sentì perduto.

Ugualmente, con la forza della disperazione, provò a reagire e, con la voce quasi strozzata da un pianto che non riusciva ad uscire, disse “...io stasera non posso... avevo già un mio programma...” “ i tuoi programmi non mi interessano, con il lavoro non si scherza e se non posso contare sui miei dipendenti quando mi servono... faccio a meno anche dei dipendenti” tagliò corto il padrone.

Dopo un'ora arrivarono nella villa dove era stato organizzato l'incontro con alcuni indistriali concorrenti di Silvio.

Dovevano mettere a punto la politica di produzione ed i prezzi da applicare alle loro merci nel prossimo trimestre.

Erano già molti anni che si incontravano per lo stesso motivo.

C'era voluto un bel po' di tempo e tanti morti caduti per strada prima che si rendessero conto che non valeva la pena fare battaglie all'ultimo sangue fra di loro, e che era per tutti più conveniente accordarsi e tuttalpiù cementare le loro energie per impedire che nuove concorrenze potessero nascere.

Emilio si rese subito conto che la sua presenza non era necessaria, anzi forse sgradita, perchè scomodo testimone di qualcosa ddi torbido ed ai limiti della legalità.

In quel momento il suo odio per il padrone toccò l'apice, capì che egli aveva voluto ferirlo ed annientarlo, avrebbe voluto ucciderlo, ma ancora una volta rigettò giù quel violento sentimento.

Quando partirono per ritornare era già notte inoltrata.

Silvio era visibilmente alterato, aveva ecceduto nel bere champagne ed Emilio, più che altro dai suoi discorsi, aveva capito che era un po' brillo.

C'era una pioggerella fine che rendeva la strada viscida e pericolosa.

Nell'affrontare una curva, a velocità un po' troppo sostenuta, la macchina non tenne la strada, sbandò più volte, finchè non andò a cozzare violentemente contro il parapetto e lo sfondò.

Rotolò più volte su sé stessa lungo una scarpata, infine andò a cadere in un piccolo lago sottostante.

Emilio fu sbalzato fuori della vettura sulla riva del lago, Silvio riuscì invece ad uscire dalla portiera aperta prima che l'auto sprofondasse.

Non sapeva nuotare e cominciò ad annaspare disperatamente fra le acque.

Emilio, praticamente illeso, a parte qualche graffio, si era subito alzato ed aveva avuto come primo istinto quello di soccorrere il padrone, ma era stato solo un attimo, perchè all'improvviso parve diventar di gelo.

Silvio intanto continuava ad agitarsi disperato, muovendo in modo incoerente le braccia, e intanto salendo e scendendo dalla superficie dell'acqua, ma trovò lo spazio per gridare “ che cazzo fai! Sbrigati, tirami fuori di qui!...”

Ma Emilio restava impassibile a pochi metri da lui e non si muoveva “ glu, glu, dai cosa fai?...aiutami...” disse ancora Silvio.

Emilio continuava a guardarlo ed ancora senza muoversi, eppure vicino a lui stava un lungo ramo e gli sarebbe bastato prenderlo ed allungarlo fino a Silvio per tirarlo fuori di là, ma non si mosse.

“ Glu, glu... dai, non scherzare, aiutami...” la sua voce era sempre più flebile e soffocata ed anche, cosa molto strana per lui, più gentile, ma ancora Emilio non si mosse.

Ormai solo con un filo di voce il padrone mandò la sua ultima preghiera d'aiuto “ te ne prego, aiutami, abbi pietà di me, non lasciarmi morire... ti darò tutto quello che vuoi...”

Emilio lo guardò per l'ultima volta mentre ormai stava scomparendo dentro l'acqua e si sentì attraversare da un irrefrenabile sorriso, guardò le ultime bollicine svanire nell'acqua e poi più nulla.

Inalterato e freddo si girò e salì la scarpata con energia per avvisare chi di dovere della triste disgrazia che era accaduta.

Michele Serri 08/06/2012 22:54 1390

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.

I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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