E ad un certo punto, mi sono persa. Cercando di andare avanti, avvertendo sulla mia vita tutto il ruvido dei giorni, come prigioni, da colmare con la fatica e un lavoro diventato un macigno, mi sono persa. I miei spazi, il mio mondo fatato, con il glicine e l’eterna primavera, i colori pastello e i gattini, il Natale caldo e affettuoso, il thè alle cinque... mi sono persa. Ogni giorno rincorro mete che non mi appartengono, scalfisco il mio animo e mi rinnego, cercando di somigliare, per non farmi notare, a tutti gli automi che, schiavizzati, si piegano a tutto ciò che ci viene imposto: mode, lavoro, gusti, lavoro, capelli, lavoro... non rimane tempo e spazio, ore, altro. Ognuno dimentica se stesso senza rendersene conto ed è già domani e la schiavitù del lavoro assorbe ogni tua sostanza, fino a renderti incapace di scelte autonome, fino a dimenticare cosa desideri veramente, privilegio ormai solo dei ricchi. E anch’io, cercando di non deludere le aspettative dei burattinai corro da anni ormai per un podio inesistente, dimenticandomi.
Ma dentro di me c’è una voce, ma sempre più debole, che cerca una lingua per farsi meglio intendere che reclama ascolto.
Vorrei andare in Inghilterra, nelle campagne inglesi, vivere in un cottage, circondata dal profumo di terra bagnata da pioggia gentile, di alberi e fiori e da tanti animaletti simpatici, vorrei stare solo in compagnia di anime gentili e trascorrere con loro il tempo a conversare, toccando sempre i lembi dell’anima. Vorrei dedicarmi a scrivere libri e poesie, vorrei viaggiare, per riempirmi di vita e di nuovo, per rinnovarmi e non invecchiare. Vorrei ascoltare ed essere ascoltata, non rinnegando la mia umanità, vorrei aiutare ed essere aiutata, vorrei giocare e ridere, vorrei ridere, tanto e far sorridere. |
|