Ogni mattina, mi siedo su questa panchina in periferia e guardo le persone passare. Tutti che vanno sempre di fretta, con certamente mille cose da fare. Ai miei piedi, in un piccolo rinvolto fatto con il giornale di ieri, alcuni depositano monete, altri invece, con turpe ironia, una banale caramella, e altri ancora, con un gesto di grande carità, addirittura un panino. Non tutti approvano il mio essere lì, a mendicare, mentre invece c’è chi in me ritrova sé stesso, e, magnanimo, si ferma a scambiare due parole. È allora che, alzando lo sguardo, incrociando i loro occhi, lascio che l’emozione parli per me. Poi, alla sera, raccolgo ogni cosa e salgo le scale della casa appena dietro, dove c’è Gino, che paziente mi aspetta. Da sempre gli faccio omaggio di tutto l’incasso del giorno, e quando posso metto in ordine la stanza, leggendogli di seguito le ultime notizie prese dal giornale che un buon uomo mi lascia ogni volta, oppure mi dedico alla lettura di alcune pagine di quel libro che a Gino piace tanto. Sapete, anche lui una volta, per scelta, era un mendicante, ora si è fatto vecchio e non ce la fa più a stare seduto sulla panchina ai lati della strada, e neppure sul sagrato della chiesa.
Adesso che è tanto malato, io lo sostituisco nella questua d’ogni giorno, come fosse per me una missione, un gesto per soppesare la vita. Quando ormai anche l’ultima lama di luce è calata, mi cambio i vestiti travestendomi da ricco signore, e dopo un breve saluto, esco alla vita che purtroppo non più riconosco. Percorrendo la strada verso l’altra parte del parco, spesso incontro le figure della notte, spauriti senzatetto a cui offro monete, come vita che incontra vita e comprende il suo vero valore. Finalmente giunto a casa, una grande villa che si affaccia sul parco, mi spoglio di ogni mio avere e idealmente mi denudo davanti all’oggi e al conflitto che interiormente mi cova dentro. Come Gino, sono un uomo solo... Anzi, ancora di più, poiché io non ho davvero nessuno. Almeno lui ha me, che in parte completo la sua esistenza, mentre io da tempo mi arrovello la mente senza concludere nulla, vivendo la mia solitudine come fosse una colpa, cui mi è difficile sfuggire.
Un tempo, molto tempo fa, ero un -uomo importante- una figura bancaria che tutto decideva, compreso il futuro degli altri.
Un giorno, quel tragico giorno, un uomo mi fece visita, urlandomi contro la sua rabbia per un prestito negato. Gridò così tanto da sentirsi male, il suo cuore sembrava cedere da un momento all’altro, l’aria mancava in quella stanza al decimo piano di un palazzo, un assurdo palazzo in cui vita e morte, sofferenza e pietà sembravano non avere valore. Ricordo ancora bene il momento in cui mi accinsi ad aprire la finestra per fare entrare aria fresca, e lui, quell’anima ferita dal mio rifiuto, involarsi oltre di essa, per poi cadere nel cortile di sotto. Quell’uomo poteva essere Gino, o chi come lui, in vita, non aveva avuto futuro, ma solo negative risposte da chi era in dovere di aiutarlo, anche in proprio, se non altrimenti, ma in qualche modo. In quel momento, la mia vita ha subì to una svolta, distrutta dal rimorso e dai sensi di colpa.
-Ama il prossimo tuo come te stesso-
È da allora che ho smesso di amarmi. Vivo in un continuo rimorso, compresso fra il dovere lavorativo e il dovere umano, verso chi a me aveva steso la mano supplicandomi aiuto. Adesso, ogni giorno, mi vesto con i panni dell’ultimo e vivo ai margini di tutto, supplicando Dio per rivivere quegli attimi che mi videro assente al grido di un uomo, come fosse proprio l’immagine di nostro Signore. Adesso, prendendo il posto di Gino, cerco di fare ammenda della mia vita di giudice ed esecutore materiale di condanne, senza logica alcuna. Risiedo in questa villa da ricco signore, perché in me rimanga impresso quel dolore che c’è nella differenza fra il potere e l’essere vittima senza peccato, facendo gravare, su di me, tutto il divario che ne deriva. Chissà se mai riuscirò nel mio intento, quello di spogliarmi delle mie vesti di bieco censore e vestirmi di verità, figlia dell’incedere nel giusto cammino fatto di gioia ed equità. Dedico ogni momento di ciò che mi resta per sconfiggere quel male che mi devasta il cuore, cercando di donare tutto me stesso a chi, come Gino, non è che un’anima dimenticata. Forse un giorno, in un giorno da mendicante, ritroverò me stesso nelle mani di chi, con semplicità, saprà donarmi il perdono. E solo allora potrò smettere i panni del carnefice, e riconsiderarmi uomo.