La casa era attraversata dal vocio gioioso delle cugine, accorse per il lieto evento, Catena e Rosaria che erano più emozionate di Rosalia si davano da fare per aiutare zia Assuntina occupandosi anche della cugina. Lei si era messa totalmente nelle loro mani, accosentendo quasi passivamente alle loro attenzioni. Le sistemarono prima l’ abito, poi l’ acconciatura dei capelli e sistemandole sulla testa una coroncina di fiori bianchi, il velo che le copriva il viso e per ultimo le allacciarono intorno al collo un filo di perle che erano appartenute a Totuccia. A lavoro finito la guardarono soddisfate per lo splendido risultato ottenuto: ” Si trù oppu bedda, a mugghieri cchiù bì edda c’ amu vistu… solu si fussi ‘ nanticchia cchiù filici…”
E sul loro viso apparve un’ espressione triste.
Rosalia si guardò allo specchio e vide solo il viso di una giovane infelice, gli occhi erano spenti, gli mancava quella lucentezza che solo l’ amore sa trasmettere. Se è vero che che gli occhi riflettono l’ espressione del cuore in quel momento sugli occhi di Rosalia c’ era solo un velo di malinconia. Tuttavia si voltò verso le cugine e disse loro: ” Ma chi diciti? Iu sugnu filici comu ‘ na Pasqua.”
E fece un sorriso di circostanza.
Dopo un po’ arrivò Don Enzo e quando Rosalia comparve sulla cima delle scale, il cuore le parve che si fermasse, era semplicemente uno splendore, ed era sua figlia, voleva gridarlo al mondo intero e dire a tutti quanto l’ amava. Dopo un attimo di smarrimento le si avvicinò dicendole: ” Tuni si a cchiù bì edda figghia chi ‘ n patri possa addisiari (desiderare).”
Il carro era stato abbellito per l’ occasione con fiori di zagara, dolci e profumati, Rosalia prese posto accanto al padre e dietro salirono Assuntina e la piccola; erano entrambe di un’ eleganza semplice ma ricercata.
Il cielo era limpido e di un azzurro accecante, pur se faceva un freddo pungente che arrossava i visi. Rosalia con la morte nel cuore andava a scegliere una vita senza amore, solo per compiacere la zia e per dare un padre a quella figlia sfortunata. Il cigolio delle ruote sulle lastre di pietra che rivestivano la strada sembrava più che accompagnasse un feretro che una sposa. Quando all’ improvviso dalle porte e dalle finestre del paese si affacciarono delle donne e degli uomini che gridavano acclamando Rosalia: ” Evviva a mugghieri cchiù bì edda du paisi… felicità a tia e allu maritu… chi u suli splenda sempri nta to casa…”
E così dicendo lanciavano chicchi di riso sul carro.
Rosalia era frastornata da tutta questa acclamazione e ciò non fece che accrescere la sua angoscia, ormai si trovava ad un passo dal baratro. Poi inaspettatamente comparve dal nulla, davanti a loro una zingara, il barone fermò il carro e disse sgarbatamente: ” E tuni cu si? Cu vvoi? Canziati e lassa passari.”
La vecchia li guardò e poi fissando Rosalia le disse: “ Tuni ti ricordi ri mia? Vì ero?”
Rosalia fu attraversata da un brivido gelido, adesso ricordava la zingara, l’ aveva incontrata tempo fa, quando era in compagnia di Biagio, erano andati in un paese vicino a Catania. Non poteva dimenticare le sue parole sibelline, quando le aveva detto di stare attenta alle persone che aveva intorno e poi, dopo poco tempo le previsioni si erano avverate.
Le persone di cui si fidava, l’ avevano ingannata facendola soffrire tantissimo e dicendole che la sua bambina era morta. Ed ora perché si trovava lì e cosa voleva ancora?
La donna continuò: “ Vogghiu sulu fari ri auguri a la nico e duoppu si permettete ri vogghiu riri solu dui cosi…”
Il barone spazientito: “ Allura spicciati c’ amu fretta, u maritu ci aspetta.”
La zingara: “ Tuni si ‘ na anima bona, nun ti meriti ancù ora ri suffriri… ancù ora ‘ n ù mmira (ombra) là ria (brutta) ti sta vicinu e nun ti voli lassari…”
Mentre diceva queste parole terrificanti, si materializzò un grande falco che stridendo sorvolò in alto intorno al carro. Rosalia in preda al panico gridò al padre: ” Patri miu, manna pi via chista mà gara… nun la vogghiu cchiù sè ntiri…”
A quel punto anche Assuntina gridò: ” Vattinni si no ti tiro iu tutti i capiddi che avi nta to laria tì esta.”
Il barone incitò il cavallo e la zingara fece appena in tempo a scansarsi prima di essere travolta dal carro.
Turbati e con il fiato in gola arrivarono finalmente davanti alla graziosa chiesa di Santa Rosalia. Si era raggruppato un consistente numero di persone curiose di vedere la sposa e anche per rendere omaggio a Santa Lucia.
Nella navata centrale della chiesa, addobbata con grandi mazzi di fiori bianchi, c’ era Nino che impaziente aspettava la sposa. Indossava il classico abito di fustagno dai marroni cupi, solo il gilet aveva qualche nota di colore, era molto elegante e lo faceva apparire più giovane di quello che in realtà era.
Fra la gente raccolta in piazza c’ era anche Antonino che con il cuore spezzato, vedeva la sua Rosalia nel suo meraviglioso abito da sposa. Avrebbe voluto rapirla e portarla lontano da tutto questo, ma non poteva farlo e ingoiava le lacrime che lo soffocavano nel suo dolore. Appena lei scese dal carro aiutata dal padre, lui non riuscì a resistere e la chiamò: “ Rusalia… Rusalia…”
Lei si girò e vide tutta la sua disperazione, i loro occhi si incontrarono e fu come un forte abbraccio di due cuori e una sola anima.
Ma nonostante ciò, diede il braccio al padre e salì lentamente la lunga scalinata. Tutti i presenti si voltarono a guardare la sposa bisbigliando fra loro, qualcuno si permise anche di dire: “ Talia comu jè bedda, cì ertu chi ni avi fatte… ma a furtuna jè sempri di li buttane.”
E poi: “ Avi attruvatu ‘ n bravu omu, chi si avi chiuso nun ‘ n ù occhiu sulu ma tutti rui…”
La cattiveria della gente non ha limiti neanche in un luogo sacro come è la chiesa.
Nino alla vista della sua amata si sentì quasi mancare dall’ emozione poi una volta accanto a lui, con le mani che tremavano le alzò il velo e vide la donna più bella che avesse mai incontrato. Ma restò turbato dai suoi occhi che erano velati di pianto e non sapeva se era per lui o per la diperazione.
Don Anselmo iniziò la cerimonia, felice di vedere finalmente quella sfortunata creatura andare a nozze con un uomo che l’ amava. La messa continuò senza intoppi neanche quando il sacerdote disse: “ Si qualcuno sapi quà lchi cù osa e voli impedire lu matrimoniu, parri ù ora o mai cchiù.”
Tutti si guardavano per vedere se qualcuno voleva parlare, ma tutti tacquero anche Antonino che dietro una colonna assisteva impotente alla fine del suo sogno.
Poi si arrivò alla consueta formula: “ Vvoi tu Rusalia pigghiari comu to’ maritu Ninu…”
E lei timidamente rispose: ” Si o vogghiu…”
Dopo si rivolse a lui: ” Vvoi tu Ninu pigghiari comu to’ mugghieri Rusalia…” Furono momenti interminabili, nella chiesa cadde il gelo, tutti aspettavano la sua risposta. Rosalia lo guardava piena di stupore, Don Anselmo ripetè la domanda facendogli gesti di rispondere. Ma Nino era come pietrificato, si girò verso Rosalia e le disse: “ Iu ti vogghiu trù oppu beni…”
E così dicendo scappò via fra gli insulti e lo sbigottimento generale.
Quello che successe dopo fu un susseguirsi di domande e confusione… Rosalia era circondata da persone che cercavano di consolarla dicendo: “ Chi vriù ogna… chi vriù ogna… lassata accussì supra a artaru…”
Lei si guardava intorno alla ricerca di aiuto dal padre e dalla zia, i quali con difficoltà si fecero largo e prendendola dal braccio la portarono subito via.
Una volta sul carro diede sfogo a tutta la sua tensione e scoppiò in un pianto senza limiti.
La zia intanto inveiva contro Nino: “ Bastaddu… ma si mu trovo avanti u ammazzu.”
Don Enzo cercava di tranquillizzare la figlia ma quello che aveva fatto Nino era un affronto a lui e al suo nome. Non poteva non essere punito e ci voleva un castigo esemplare. Nessuno si poteva permettere di prendersi gioco di lui e della sua famiglia e per giunta in un modo plaetale, così davanti a tutto il paese.
Aveva disonorato la figlia e lui.
Nino nel frattempo era già sulla corriera che lo portava al suo paese e da lì in seguito sarebbe partito per il continente abbandonando per sempre la sua amata Sicilia.
Eh si… né è passato di tempo, gli anni sono trascorsi fra il susseguirsi delle stagioni e vicissitudini della vita non sempre facile ma ugualmente bella da essere vissuta appieno. Rosalia, con i capelli d’ argento, seduta sulla terrazza guarda il mare da lontano, il sole dolcemente lo colora di rosso e lo impreziosisce di gemme luminose. Si distoglie dai ricordi che l’ hanno trasportata nel tempo e dice:” Ninuzzu (Antonino), Ninuzzu…”
Lui si gira verso quella moglie adorata e risponde: “ Si anima mo…”
Non ha mai smesso di chiamarla così da quando hanno coronato il loro sogno d’ amore.
Rosalia: “ Ti arricurdi lu jornu ri Santa Lucia?”
E lui, aspirando la sigaretta, risponde: ” E comu mi lu posso lassari (dimenticare)? Ninu ci fici unu ranni rigalu.”
E lei: “ Spero chi fussi statu filici macari iddu.”
Il suo pensiero va alla zia Assuntina che ora riposava in pace insieme al padre Don Enzo, Totuccia e a molti altri protagonisti della sua storia. Una lacrima si ferma su un segno del tempo che ha scalfito il suo viso, un viso invecchiato ma sempre bello nella sua avanzata maturità.
Una voce da bambino li chiama: “ Nanna Rusalia… nannu Ninnuzzu, scì nniti, jè pronto lu mancì ari…”
Rosalia: “ Vinemu… vinemu… Saro… Saro pigghia ‘ na buttigghia ri vinu a frà gula…”
Il nipote: ” Va beni ma spicciatevi chi si arrifridda…”
Il sole ora non si vede più e al suo posto una bellissima luna piena illumina d’ argento il piccolo paese siciliano affacciato sul mare.