1
Lo sguardo di Darius era perso verso l’ azzurro intenso del cielo.
La sua attenzione era rivolta a un minuscolo punto all’ orizzonte, che lentamente s’ ingrandiva sino a coprire ogni altra visuale.
Non era certo la prima volta che vedeva quel volatile, ed era altresì certo che non esistesse al mondo un’ altra creatura di simili dimensioni né era a conoscenza che ne fossero mai esistite. Le ali gigantesche si muovevano lentamente, in un ritmo cadenzato e in modo elegante e, l’ ombra proiettata dal corpo sul terreno, era inquietante.
Il ragazzo s’ incantò a osservare quel volo planante, che sfruttava le grandi correnti ascensionali. Quando il volatile fu abbastanza vicino, le penne delle ali, catturarono i raggi solari e si accesero in mille riflessi iridescenti.
Nello stesso modo si accesero gli occhi dorati del rapace che, chissà per quale misterioso motivo, sembravano cercare proprio la sua figura.
Darius trovava che si trattasse di una creatura alquanto bizzarra e l’ aveva soprannominata “ Marpies”. Avendo avuto modo di poterla ammirare da vicino aveva appurato che, a parte il corpo, il suo muso aveva caratteristiche che ricordavano molto quelle umane. Il viso, perché così si poteva definire, era completamente glabro e dalle grandi mascelle squadrate. Solo il naso aquilino, che spiccava sotto la fronte alta e altera, somigliava al becco di un rapace.
Davanti a quella figura straordinaria, Darius non poteva che sentirsi in soggezione. Forse si tratta di una creatura magica sortita da qualche racconto mitologico. pensò. All’ improvviso, si rammentò di aver sentito descrivere una creatura simile a quella che stava ammirando.
Le arpie! Certo! Ed ecco perché ho trovato quel soprannome! Ho fatto un po’ di confusione. si disse, soddisfatto di aver trovato la giusta spiegazione.
Dunque, non si tratta soltanto di una favola! Esistono veramente! rifletté, mentre il volatile continuava a veleggiare nel cielo. Darius ebbe l’ impressione che solcasse l’ azzurra distesa come un magnifico vascello dalle candide vele, solca imperiosamente i mari.
In quel momento, il Marpies iniziò a scendere in giri concentrici, fino ad arrivare molto vicino e a studiarlo attentamente con occhi che al ragazzo parvero colmi di discernimento e di saggezza. La cosa più strana era che non provava nemmeno un po’ di timore di fronte all’ imponenza del volatile ma, al contrario, tanta ammirazione. Inoltre, aveva la netta impressione che volesse solo rassicurarsi sulle sue condizioni di salute.
Darius si sottomise con pazienza all’ esame anche se, in cuor suo, avrebbe voluto porre tante domande, con la certezza che l’ altro avrebbe risposto. La timidezza gli impedì sul momento di parlare, ma poi la curiosità ebbe il sopravvento ed era sul punto di farlo quando il Marpies, evidentemente soddisfatto, con un rapido scarto si librò nell’ aria e si allontanò, scomparendo alla sua vista e lasciandolo con l’ animo ancora una volta colmo di dubbi.
Che peccato! pensò rammaricandosi per avere esitato troppo, ma forse, presto si sarebbe presentata un’ altra occasione e allora ne avrebbe approfittato.
Subito dopo un altro pensiero lo fece ricredere sulla specie al quale poteva appartenere il volatile: No! Non può essere un’ arpia. La leggenda narra che si trattava di figure femminili e quella creatura lassù non me lo sembra proprio. E, considerato che c’ incontriamo spesso e posso considerarlo un amico perché non trovargli un nome?
L’ idea gli piacque talmente che in pochi minuti ne scartò molti ma, infine, ne trovò uno di suo gradimento: Elia. Sì. Mi piace! Breve e musicale. concluse tra sé, poi urlò alla figura piccolissima che pian piano spariva nel cielo: « D’ ora in poi ti chiamerò Elia!»
Il silenzio era tale nei dintorni da fargli sperare che Elia avesse sentito, ma il rapace continuò il suo volo e il ragazzo rimase a scrutare tra le nuvole finché divenne un puntino indistinguibile.
Il ragazzino dalla corporatura esile, i capelli castani e ricciuti e gli occhi nerissimi, era nato nella bellissima città di Roma ed era un piccolo orfano di guerra. Suo padre era un prode legionario che aveva perso la vita durante una guerra di conquista per ampliare i confini dell’ impero. Sua madre, invece, era morta dandolo alla luce. Il piccolo orfano non aveva nessun parente e la levatrice, che lo aveva aiutato a nascere, lo aveva abbandonato subito dopo il parto in una delle case più povere della città, dove in genere venivano portati i bambini che nascevano nelle stesse misere condizioni. E così, Darius, finì acquistato da un ricco commerciante, diventando schiavo in una prestigiosa domus.
Considerati i tempi e un passato già tanto travagliato, il ragazzino si considerava fortunato. Il suo padrone era un uomo ligio ma giusto e non maltrattava le persone che lavoravano per lui. Esigeva che ognuno svolgesse con diligenza il lavoro affidatogli e, in cambio, offriva tutto quanto gli schiavi avessero bisogno. Persino quel tanto di libertà necessaria, affinché nessuno si sentisse prigioniero.
Anche al ragazzino erano stati affidati dei compiti. Darius si svegliava ogni mattina quando il gallo lanciava il suo richiamo, al sorgere del sole.
Il suo primo incarico era quello di andare a prendere il pane dal fornaio, di corsa, in modo da farlo arrivare ancora caldo sulla tavola dei padroni.
L’ impegno sembrava non pesargli affatto, anzi. Correva per le strade lastricate della città a perdifiato, con l’ energia tipica della sua età e come se avesse un diavolo alle calcagna e con il vento a sferzare la pelle del viso.
Correre gli donava sempre un senso di libertà inspiegabile e lo esaltava talmente da indurlo a fantasticare. Si diceva che forse era nato per diventare un grande maratoneta e subito dopo ci ripensava. No! Sono nato per fare il gladiatore! concludeva, tornando sempre al suo sogno segreto.
Il suo padrone era un facoltoso mercante di stoffe. Si chiamava Marcus Sidonia Albinus e percorreva personalmente una volta all’ anno la famosa via della Seta per scegliere le più belle stoffe, che erano poi vendute alle matrone dell’ alta società romana.
In quel tempo l’ uomo era anche il più famoso organizzatore di giochi e di gare al grande anfiteatro Olimpicus Stadium.
Marcus era una delle persone più acclamate e più importanti, dopo l’ imperatore, della città. Ogni spettacolo che organizzava era considerato un evento straordinario perché arricchito di effetti scenografici nuovi e sensazionali. Ormai la fama dei giochi del mercante aveva superato i confini della penisola e la gente accorreva per assistervi da ogni luogo remoto dell’ impero.
2
Darius, in quel periodo, era un ragazzino felice, perché oltre alla protezione e l’ amicizia di Elia, era riuscito a conquistarsi, a causa del suo buon carattere, l’ affetto e la stima del suo padrone. Difatti, ogni qualvolta il mercante doveva recarsi a fare commissioni inerenti l’ organizzazione di uno spettacolo esigeva che Darius l’ accompagnasse ma, purtroppo quel giorno non gli fu possibile.
« Mi dispiace, ma oggi non puoi accompagnarmi» lo avvertì il mercante.
Il volto sempre sorridente del ragazzino si adombrò per la delusione.
« Perché?» domandò.
« Devi sostituire uno degli inservienti che si è ammalato. Ho bisogno che tu ti occupi del mio studio»
« Ma padrone…»
« Lo so che per te è una delusione ma, ti prometto, che sarà soltanto per un breve periodo. Poi potrai tornare ad accompagnarmi.»
L’ uomo pose una carezza sul capo del ragazzino, quindi troncò ogni altro tentativo di protesta andandosene.
Fu a malincuore che Darius iniziò a riordinare il sontuoso locale adibito anche a biblioteca.
Il numero dei papiri arrotolati e presenti sulle scaffalature era impressionante e Darius fu obbligato a montare su una scala per arrivare a spolverare ogni singolo ripiano.
Un’ attività che non gli piaceva per niente, per cui, s’ immerse nei suoi pensieri fantasticando su combattimenti e su eroici gladiatori. A un tratto, la sua attenzione venne attirata da un rotolo di papiro scritto con elegante calligrafia e con un titolo inciso in lettere dorate, che baluginarono catturando la luce emessa dalle numerose vetrate che illuminavano la stanza.
” L’ alata Profezia”
L’ interesse del ragazzino, amante di storie e avventure fantastiche, venne subito attirata dall’ aspetto importante del manoscritto confrontato con le centinaia di papiri arrotolati e tavolette di legno riposte sugli scaffali e dall’ originalità del titolo impresso con caratteri dall’ aria molto antica.
Per arrivare ad afferrarlo fu costretto a sporgersi il più possibile e per un attimo vacillò persino, ma alla fine riuscì a prenderlo e a trasportarlo nonostante la mole dello stesso.
Per i calzari del dio Pan, ma quanto è pesante? si domandò, srotolandolo e scorrendo lentamente lo scritto.
Uhm… niente di interessante. Parole su parole senza senso in una lingua sconosciuta.
In quel momento gli balzò alla mente una stranezza e ritornò al titolo in copertina.
“ L’ alata profezia”
È molto strano. Il titolo mi è ben chiaro mentre le frasi all’ interno sono scritte in una lingua che non riesco nemmeno a decifrare. Perché? si domandò, tornando a scorrere l’ interno, interessato più alle raffigurazioni che al contenuto misterioso.
Un rumore improvviso e per timore di venire scoperto si spronò da sé: Sbrigati a rimetterlo a posto! Se il padrone ti scopre saranno guai!
Eppure, una forza misteriosa lo trattenne e continuò a scorrere i capitoli:
Perlomeno i disegni sono belli e raffigurano animali fantastici in un mondo inverosimile. È interessante e potrei chiedere al padrone se posso visionarlo con calma.
In quel momento, alcune voci proveniente dalla stanza vicina lo allarmarono e Darius decise che era meglio rimandare a un momento migliore la visione del manoscritto. Stava per riavvolgerlo per riporlo quando, dal rotolo si propagò un bagliore, che attirò la sua attenzione.
Anche in quella parte i caratteri erano sconosciuti ma, come lui vi accentrò la sua attenzione, lo scritto prese a pulsare come fosse di fuoco e i caratteri divennero comprensibili: È una specie di poema! constatò un po’ intimorito da quella che appariva come una strana magia, poi però prese a scandire i versi:
Sincrone l’ ali spiegate al vento
a veleggiar decise con un sol intento
solcano il ciel come in un mar veliero
cavalcante l’ onde maestoso e fiero.
Vigili aleggiano senza rumore
elette idolo di un gladiatore,
per l’ odio eterno il fato è segnato,
tu il gladio solleva che sei il designato!
Darius rimase colpito da quelle poche rime e avrebbe voluto approfondire, ma il padrone non era ancora rientrato e senza il suo permesso non poteva leggere il papiro.
Si affrettò a riporlo sullo scaffale tornando al lavoro.
Chissà per quale motivo il ricordo di quel manoscritto e del suo arcano contenuto venne presto dimenticato per fare posto, nel suo cuore e nella sua mente, a ben altri pensieri.
Per sua fortuna l’ indisposizione dell’ inserviente che sostituiva terminò prima del previsto e poté tornare alle normali attività e affiancare il mercante.
« Ti andrebbe di venire con me allo stadio?»
Darius sgranò gli occhi: « Dici sul serio, padrone?» Era la prima volta che il mercante gli offriva quella opportunità.
L’ espressione dubbiosa del ragazzino strappò un sorriso a Marcus.
« Certo! Oggi ho proprio bisogno del tuo aiuto. E poi non eri tu che desideravi vedere da vicino i gladiatori?» Il mercante conosceva bene il ragazzino e non era stato difficile intuire la sua aspirazione segreta di diventare un gladiatore.
Darius prese a saltellargli intorno dimostrando la sua felicità e quando Marcus lo redarguì si profuse in un profondo inchino.
« Allora andiamo», disse avviandosi, « e ti raccomando di starmi vicino. Come vedi c’è molta confusione e non vorrei perderti di vista.»
Quando furono davanti allo stadio i centurioni del posto di guardia lo salutarono con il massimo rispetto.
« Ave, nobile Marcus!»
Il mercante ricambiò il saluto sollevando il braccio destro ma, subito dopo, una serie di nitriti altisonanti attrasse la sua attenzione e quella del ragazzino.
« Per tutte le stelle! Che diamine succede?» domandò l’ uomo afferrando con decisione un inserviente che transitava lì accanto.
« Sono arrivati i cavalli e gli elefanti, nobile Marcus e stiamo cercando di sistemarli.»
Marcus andò su tutte le furie: « Incapaci! Dimmi, dov’è il responsabile della consegna?»
« Nelle stalle. Sta cercando di capire come sistemare i nuovi arrivi.»
« Cavalli ed elefanti?» ripeté Darius estasiato. I pachidermi fino a quel momento, li aveva potuto ammirare solo su alcuni disegni e l’ idea di poterli vedere dal vivo lo entusiasmava.
« Hai davvero fatto arrivare degli elefanti, padrone?» domandò proprio nel momento in cui un barrito altisonante risuonò nell’ aria.
« Elefanti per aprire la sfilata e stalloni arabi per arricchire lo spettacolo con gli aurighi a cui sarà presente l’ imperatore. Ma ora vieni con me. Devo trovare il responsabile di questo sfacelo.»
Il ragazzino non capì a quale sfacelo si riferisse, anche perché stava ammirando la mole grandiosa di alcuni pachidermi lasciati incatenati in uno spiazzale.
« Svegliati ragazzo! Avrai tempo più tardi per ammirare da vicino quegli animali.»
Darius lasciò a malincuore il piazzale e fu costretto a rincorrere l’ uomo che avanzava con passo sostenuto.
Appena trovato l’ addetto Marcus lo aggredì: « Avevo dato direttive precise sul luogo in cui consegnare i nuovi arrivi. Per quale motivo non hai eseguito l’ ordine?»
L’ addetto sbiancò in volto: « Perdona, nobile Marcus. Si tratta di un malinteso e del resto mi stavo domandando come fare con gli elefanti. Non c’è proprio posto per loro qua dentro.»
« Imbecille!» inveì il mercante, « Nemmeno gli stalloni devono rimanere qui. Portali subito nelle stalle del Circo Massimo e bada che si prendano cura di loro. Questi animali hanno affrontato un lungo viaggio e devono essere sistemati al più presto.»
L’ uomo s’ inchinò e Marcus e Darius tornarono all’ esterno.
« Gli aurighi saranno felici per i nuovi arrivi. Credi che potrò assistere agli addestramenti?»
« Vedremo! Considerato che ti ho affidato il compito di assistere gli stallieri sarai molto impegnato e non so se ti rimarrà del tempo libero.»
Ancora una volta Darius strabuzzò gli occhi: « Davvero d’ ora in poi lavorerò qui al circo?»
« Certo! E se ti impegnerai forse ti permetterò anche di cavalcare uno dei puledri più tranquilli.»
« Mi impegnerò, te lo prometto, mio nobile padrone!»
L’ uomo sorrise per la marcata adulazione. Il ragazzino oltre che intelligente si dimostrava anche scaltro e quelle caratteristiche gli sarebbero servite a farsi strada nella vita. « Bene. Ora ci recheremo al Ludus Magnus.»
Per l’ ennesima volta lo sguardo del ragazzino divenne immenso per la meraviglia: « Alla palestra dei gladiatori?»
« Si. Devo dare le ultime disposizioni al liberto Aurelius.»
« Un liberto… io diventerò mai un liberto, mio signore?»
Marcus si fermò, scrutandolo con attenzione: « Perché me lo chiedi? Non ti trovi forse abbastanza bene con me? Vivi in una domus signorile, non ti manca il cibo e nemmeno il vestiario. Non sei maltrattato, ti ho fatto istruire e, sebbene tu sia uno schiavo, hai sempre goduto di libertà di movimento. Non è vero?»
« Si, nobile Marcus. Ma forse l’ idea di essere uomini liberi rende più felici.»
Il mercante sorrise e gli affibbiò un buffetto sulla guancia.
« Sei un ragazzino intelligente e sono sicuro che da adulto saprai farti apprezzare per quello che vali. Nello stesso modo in cui è riuscito a farsi valere Aurelius che per la sua gloriosa carriera da gladiatore, dalla condizione di schiavo è riuscito ad acquisire quella di liberto.»
Darius tacque, la mente proiettata in una solenne promessa: Lo giuro! Da grande anche io diventerò un liberto!
3
All’ arrivo del mercante, Aurelius smise di allenare e si avviò verso l’ uomo che era stato per anni il suo padrone e che in cambio delle tante vittorie ottenute nei combattimenti gli aveva fatto il dono della libertà.
« Ave Marcus!»
« Ave Aurelius. Vorrei dare un’ occhiata agli uomini.»
« Sono a tua disposizione, nobile Marcus.» disse, mentre richiamava i gladiatori che accorsero, allineandosi in una lunga fila ordinata.
Il mercante passò in rassegna la schiera di uomini seminudi e muscolosi destinati ai combattimenti dei giochi ormai prossimi, studiandoli con attenzione a uno a uno e tastandone i bicipiti poderosi e le ampie spalle. Marcus non si limitò a saggiarne la forza ma si concesse il tempo di scrutarne la determinazione negli occhi e nell’ atteggiamento.
Il mercante possedeva grandi doti di umanità e desiderava soltanto sincerarsi di mandare nell’ arena uomini in perfetta salute e in grado di difendersi in caso di combattimenti all’ ultimo sangue. Ogni gladiatore che combatteva sotto la sua responsabilità doveva avere la possibilità di salvarsi e, forse, un giorno conquistare anche la libertà.
Era questo il caso del liberto, diventato poi capo e istruttore degli altri compagni. Aurelius, un uomo dall’ aspetto imponente ma dall’ espressione franca, dallo sguardo ceruleo e dalla corta barbetta ben curata colore del grano maturo, come del resto i capelli. Aurelius aveva una muscolatura pronunciata, messa in risalto dai bracciali sui bicipiti e da una corta tunica chiara.
Per qualche istante Marcus ne valutò le qualità fisiche e ricordò le molteplici vittorie che, in un passato non molto lontano, il gladiatore gli aveva donato.
« Mi farai sapere tutto ciò che ti occorre affinché questi incontri passino alla storia come i più moderni che Roma abbia mai avuto.»
« Ti farò avere la lista al più presto.»
« Bene! Qui con me c’è Darius. Ripongo la massima fiducia in lui ed è per questo che te lo affido. Desidero che tu lo istruisca in modo che diventi il tuo collaboratore allo stadio. Serviti di lui e tienilo d’ occhio. Questo ragazzo è un gran sognatore e ogni tanto mi accorgo che la sua mente divaga sin troppo lontana.» Le ultime parole erano state scandite con accento paterno e Aurelius sorrise. L’ affetto che il mercante provava per il piccolo schiavo era evidente.
Il liberto provava deferenza e la massima stima nei confronti dell’ uomo che sapeva organizzare al meglio le gare dei carri e i combattimenti allo stadio e che con molti gladiatori aveva sempre mantenuto le promesse fatte riguardo la loro condizione di dipendenza.
« Sarà fatto come comandi, nobile Marcus!» rispose, portando una mano sul cuore.
Il mercante annuì, poi si chinò verso il ragazzo « Abbiamo parlato abbastanza. Conosci i tuoi compiti e sai anche quanto mi aspetto da te. Ti lascio sotto la protezione di Aurelius. Osserva e impara. Questi uomini hanno tanto da insegnarti.»
Il mercante si soffermò a dare un’ ultima occhiata competente al gruppo di gladiatori immobili con lo sguardo impassibile.
« Rendetemi fiero di voi!» esclamò, soddisfatto dal colpo d’ occhio che offriva la schiera di combattenti. Poi si congedò, seguito dallo sguardo grato del piccolo schiavo.
4
Il morale del ragazzino salì alle stelle.
Un sogno, quello più grande e più segreto; quello che aveva sempre ritenuto irrealizzabile si era invece verificato! Da quel momento in poi si sarebbe trovato in contatto diretto e, per molte ore al giorno, con coloro che avevano colpito la sua fantasia sin da fanciullo: i suoi eroi. Quelli che combattevano tra loro come leoni suscitando l’ entusiasmo della folla venuta ad ammirarli anche da terre molto lontane.
Gli uomini che lui aveva potuto ammirare solo da lontano perché essendo uno schiavo assegnato a ben altre mansioni, non gli era concesso assistere ai giochi. Di conseguenza, fino a quel momento, si era trovato costretto ad agire come un clandestino rifugiandosi in un punto nascosto nello stadio e cercando di rendersi invisibile, pur di assistere a qualche minuto di spettacolo.
Ora le cose erano cambiate! Nulla e nessuno avrebbe più potuto impedirgli di ammirare i suoi eroi e da una posizione privilegiata!
L’ animo del ragazzino era in fibrillazione. Aveva sempre considerato i gladiatori dei supereroi e quante volte aveva desiderato di emularne le azioni, i combattimenti e le vittorie!
In quel momento s’ immaginò nei panni di un reziario, il tridente in una mano e la rete pronta al lancio mentre combatteva con un gladiatore.
Gli parve quasi di sentire l’ acclamazione della folla, ma fu proprio Aurelius a riportarlo alla realtà: « Che fai lì imbambolato? Sogni?»
Darius si riscosse e il suo viso s’ imporporò dalla vergogna: « Mi dispiace…» riuscì a balbettare.
Il liberto sorrise, comprensivo. In fin dei conti in quel ragazzino che fantasticava a occhi aperti ritrovava se stesso da bambino.
Anche la sua giovane vita era iniziata da schiavo e, per un caso fortuito, o forse anche per merito, era diventato un gladiatore.
« Inizierai con il ripulire le celle degli uomini. Mostrami di fare un buon lavoro e saprò ricompensare il tuo merito affidandoti un compito più impegnativo e importante.» gli ordinò, assestandogli un buffetto.
Pur iniziando la nuova vita svolgendo i lavori più umili e dividendosi tra il lavoro alle stalle al circo Massimo e quello al Ludus Magnus, Darius non dimostrò mai abbattimento o mal disposizione, anzi.
Era convinto di essere uno schiavo fortunato rispetto a tanti altri e si sentiva felice, tanto che, nello svolgere le sue mansioni cantava, riuscendo a rendere l’ atmosfera dura e disciplinata della palestra un poco più allegra.
L’ entusiasmo che metteva in tutto quel che faceva era contagioso e induceva al sorriso quegli uomini decisi, che passavano la loro vita allenandosi e combattendo.
I gladiatori lo avevano preso in simpatia e lo trattavano come fosse un portafortuna. Darius dimostrava la sua bontà e la sua dedizione al lavoro mettendosi al servizio di ognuno di loro. La sua ammirazione era evidente nella solerzia che impiegava a eseguire gli ordini e a prevenire i bisogni o i desideri dei gladiatori.
Quando era libero da impegni il ragazzo osservava gli allenamenti e, talvolta, Aurelius gli concedeva il permesso di fare esercizi di ginnastica con loro.
« Senza strafare! Il tuo fisico è ancora immaturo per sopportare questi sforzi.»
« Riuscirò mai ad avere i muscoli come i vostri?»
Aurelius non poté fare a meno di sorridere: « Occorrerebbero anni di allenamento, ma qualora mettessi tutto il tuo impegno ce la potresti fare.»
Il ragazzo aprì la bocca, quasi volesse aggiungere qualcosa, poi la richiuse.
Il liberto intuì l’ intenzione di parlare, ma non insistette e gli mostrò un esercizio.
Nonostante Aurelius evitasse di impegnarlo troppo con esercizi duri, le giornate del ragazzo si fecero ancora più difficili.
La vita alla palestra trascorreva in modo marziale, scandito da orari e regole precise.
Darius scoprì che alcuni uomini si dedicavano a quell’ arte per diletto e soddisfazione personale ma, per i più si trattava di vera costrizione. Erano obbligati a quella vita dura perché nati schiavi o lo erano diventati in seguito come prigionieri di guerra e tali sarebbero stati fino alla fine dei loro giorni a meno che arrivassero a collezionare innumerevoli vittorie. L’ acquisire con onore i trofei più ambiti, quali potevano essere un gladio, un elmo o uno scudo di bronzo equivaleva spesso all’ addio alla schiavitù, passando da quello stato iniquo d’ oppressione a quello più ambito di liberto.
Aurelius, da parte sua, non perdeva occasione di osservare il ragazzo mentre eseguiva gli esercizi che lui stesso consigliava. Il giovane schiavo aveva portato una ventata di freschezza e novità nell’ ambiente quasi militaresco e lui lo aveva accolto sotto la sua ala protettrice.
Darius, a sua volta, ripagava il silenzioso affetto dell’ uomo prendendo molto sul serio i compiti che gli erano stati affidati e vi impegnava tutte le sue energie, ma gli rimaneva anche il tempo di girare liberamente per il grande stadio, curiosare e assistere agli allenamenti.
Fino a che un giorno…
Era tardi e alle stalle lo stavano aspettando. Quando arrivò si sottopose con pazienza alla naturale ramanzina del capo stalliere e poi prese a fare i suoi giri tra gli scomparti dove erano custoditi i veloci cavalli destinati alle corse.
Aveva imparato a conoscere i cavalli a uno a uno e a ognuno aveva dato un nome.
Bianca era la giumenta fattrice, dal manto candido come la neve. Saetta era lo stallone che galoppava talmente veloce, da arrivare al traguardo come un fulmine che attraversa il cielo. Il suo preferito era uno stallone dal manto nero come la pece a cui aveva dato il nome di Tenebra. Il carattere inquieto e indomito del cavallo lo affascinava e intimoriva nello stesso tempo.
Il capo gli aveva consigliato di avvicinarsi allo stallone con estrema cautela, di non alzare mai il tono della voce e di trattarlo con pazienza, senza mai mostrare la sua soggezione perché Tenebra era in grado di percepirla.
Quel giorno, comunque, Darius non ebbe difficoltà a iniziare a strigliarlo.
Era un’ occupazione che acquietava l’ indole ombrosa del cavallo e che il ragazzo compiva con piacere, tanto, che la sua mente iniziò a divagare: Un giorno, forse, correremo insieme! si disse, constatando i fremiti dei fianchi poderosi in seguito ai ripetuti massaggi.
Io e te, liberi e veloci come aquiloni nel vento! Tenebra nitrì annuendo più volte con la testa, come se avesse percepito le parole poi, nel silenzio che seguì, Darius colse una serie di lamenti.
continua...