Era una fredda serata di febbraio.
Su Amardolce, soffiava un vento gelido che proveniva dalla Majella e la neve, che ricopriva l’ asfalto del manto stradale, era ghiacciata. Francesco era seduto sulla sua solita minuscola sedia di paglia e fumava una sigaretta dopo l’ altra, nonostante il freddo polare che imperversava sul paesello montuoso.
I pochi passanti che attraversavano la strada, per tornare a casa o per recarsi in farmacia, lo facevano con molta attenzione perché il gelo che ricopriva l’ asfalto era particolarmente scivoloso ed infido. Molti amardolcesi erano addirittura finiti all’ ospedale per fratture multiple agli arti a causa della scivolosità del ghiaccio.
Francesco indossava sempre una giacca ed una camicia di flanella a quadretti, un pantalone di velluto marrone ed un cappello grigio topo che aveva riportato dal Belgio, dove aveva lavorato in miniera.
Durante l’ inverno, quando nevicava, di solito si cambiava soltanto le scarpe, perché era impensabile camminare sulla neve con le cioche, le tipiche calzature amardolcesi, che indossava durante tutto l’ arco dell’ anno.
Le indossava con una grazia infinita ed innata che sfiorava l’ arte poetica allo stato puro.
Le cioche facevano parte del suo vestiario quotidiano ed attiravano l’ attenzione dell’ interlocutore a tal punto che gli altri abiti, che indossava sicuramente con casualità, sembravano essere il frutto di una ricerca stilistica di alto profilo.
Niente era lasciato al caso.
A volte, avevo il sospetto che fosse la moglie ad abbinare i vestiti, in un modo così paradossalmente indovinato, ma tale opzione era da escludere perché Francesco vestiva così anche quando era sposato con la sua prima moglie.
Il suo guardaroba era semplicemente il frutto di una meditazione trascendentale che rispecchiava lo stato d’ animo dell’ uomo.
La barba bianca, che incorniciava il suo viso ossuto, gli dava l’ aspetto di un pittore bohé mien parigino alla ricerca disperata di uno scorcio di paesaggio da dipingere.
Quando aveva un’ idea che gli ronzava nella testa, nessuno riusciva a fargli cambiare idea.
Con me, parlava volentieri soprattutto perché non lo contradicevo mai.
Mi guardò dritto negli occhi e mi disse: «Sergio, ho un’ idea geniale!».
Rabbrividii all’ idea che potesse avere, come diceva spesso lui, un’ idea geniale, perché ogniqualvolta usasse quell’ aggettivo il suo cervello entrava in un’ altra dimensione.
«Hai notato che cammino sulla neve con straordinaria fermezza, al punto tale che le mie cioche hanno più l’ aderenza delle gomme 4/4 di una campagnola?».
Annuii leggermente con la testa per non contradirlo.
Sapevo che si arrabbiava moltissimo quando qualcuno lo contradiceva, per cui stetti ad ascoltare la sua nuova idea, nonostante il freddo polare che mi impediva persino di respirare.
«Ho un progetto…».
Mi guardò con i suoi occhi trasparenti che riflettevano il paesaggio invernale di Amardolce.
«Ho progettato quattro cioche rivestite di ferro, al posto dei classici ferri, al mio amatissimo asino Bello per evitargli di scivolare sulla neve».
«Francesco, dovresti cercare qualcuno in grado di realizzare quest’ interessantissimo progetto», gli risposi con calma per non alterare la sua imprevedibile euforia.
A dire il vero, non vedevo l’ ora di tornare a casa per riscaldarmi un po’ davanti al fuoco del caminetto.
L’ uomo frugò nelle sue tasche e mi mostrò un foglio piegato scupolosamente in quattro.
«Tu, che hai studiato a Bologna, conosci qualcuno in grado di realizzare questo mio nuovo progetto?».
La richiesta di Francesco mi stupì al tal punto che rimasi in silenzio per qualche istante, poi gli risposi con nonchalance: «Ho un amico milanese che è un inventore. Potrei farglielo vedere».
Il suo viso diventò improvvisamente rosso- violaceo, la sua lingua stranamente pastosa e le sue mani cominciarono a tremare visibilmente.
«Ed io dovrei fargli vedere il mio progetto? Così me lo ruba e diventa ricco, grazie alla mia scoperta! Per chi mi hai preso?».
Notai un bagliore strano nei suoi occhi color vetro di bottiglia che non riuscirò mai a dimenticare.
Dopo lo sfogo isterico, l’ anziano uomo si calmò improvvisamente, forse perché si rese conto d’ aver esagerato reagendo in modo così sproporzionato.
Sta di fatto che Francesco, dopo essersi messo il foglio in tasca, rientrò in casa, trascinandosi dietro la sua minuscola sedia di paglia.
Lo rividi più volte, nei mesi successivi, ma non mi parlò più della sua idea geniale.