"Mi piaceva quella vecchietta, ma di più, e sono sincero, mi piacevano i suoi dolci".
Questa riflessione mi riporta indietro di molti anni, al periodo postbellico per essere precisi. Allora non c’erano tanti soldi nelle tasche della gente e tutti, chi più chi meno, si dovevano arrabbattare come meglio potevano per sbarcare il lunario. Ero un ragazzino, allora, un po’ irrequieto e, come tutti quelli della mia età, molto curioso.
"A sciumara". Con questo nomignolo veniva da tutti chiamata una vecchietta, pelle ed ossa, che abitava in una casupola di pietre e calce vicino al greto del torrente. La donna del fiume questo era il vero significato del suo nomignolo. La sua, era una storia come quella di tante altre donne del paese che alla fine della prima guerra, s’erano ritrovate giovani e senza marito; finito il periodo di lutto, si era dovuta tirar su le braghe da sola, andando a lavorare al "filatorio": un capannone grande dove affluivano gli agrumi raccolti negli agrumeti della zona.
Tutto era andato bene fino agli anni della grande crisi, quando il padrone del "filatorio" si era ritrovato a corto di liquidi ed aveva chiuso la sua attività lasciando a casa tutti i suoi dipendenti. Anche in questa occasione la brava "sciumara" non s’era persa d’animo e si era trovato un nuovo lavoro: apicultrice, e si era dimostrata così brava che un vecchio massaro alla morte del suo apicultore l’aveva assunta nella propria masseria come curatrice delle sue arnie e lei, così, aveva continuato quel suo lavoro fatto di tanta pazienza e costanza tanto da divenire quasi leggenda, infatti, ormai era rinomata e nota in buona parte del territorio provinciale.
Era conosciuta come la donna delle api, poichè, si diceva, riuscisse a comunicare con loro. Trascorreva giornate intere tra le sue arnie, ne aveva un centinaio, passando da una all’altra senza posa da quando s’apriva il primo chiarore fino a quando non era buio pesto.
Sopravvenuta la seconda guerra, il massaro ‘Ntoni era morto e non avendo figli, nel suo testamento le aveva destinato, come lascito, un appezzamento di terreno lungo il fiume dove erano poste le arnie delle api e la casetta in cui lei aveva sempre abitato mentre era al suo servizio.
La donna delle api sapeva fare di tutto con il miele, da unguenti "miracolosi" a sciroppi di vario tipo e proprietà, dolci al miele oltre a quantità notevoli di miele, che poi lei vendeva, spesso barattando con altre cose che le servivano, come alimenti o vestiario o utensili.
È proprio in quegli anni che io, attratto dalla curiosità, come tutti gli altri ragazzini, un giorno ero andato presso il torrente. Ai miei occhi una scena raccapricciante, "a sciumara" completamente avvolta da nugoli di api che le si posavano addosso e poi volavan via. Al vedermi lei mi aveva fatto un cenno perentorio di non avvicinarmi e star fermo dov’ero. Poi con gesti pacati si era diretta ad un’arnia e le api si erano alzate in un volo maestoso per poi infilarsi nell’arnia.
Dopo un po’ mi si era avvicinata e con voce flebile m’aveva detto che le api erano degli esseri gentili, meglio degli uomini e che non aveva neanche una semplice puntura.
Mi aveva offerto dei dolcetti al miele e mi aveva detto:
-torna quando vuoi, ma non disturbare mai il volo delle api-
ed io di tanto in tanto andavo a trovarla.