Come è strana la vita, penso, sorseggiando un caffè nello stesso posto dove essa è
cambiata per sempre, la cameriera carina ogni tanto mi accenna un mezzo sorriso,
chiedendomi se va tutto bene, con lo sguardo attento di chi ha appena iniziato il suo turno di lavoro.
Mi chiamo Beltran, e mi trovo nello stesso bar di Madrid dove dieci anni fa ero seduto con
il mio compagno Albert, nello stesso, identico, fottutissimo posto.
Dunque dicevo, eravamo venuti una mattina di inizio settembre per una colazione veloce,
prima di iniziare la nostra solita giornata di lavoro.
Ordinammo uova strapazzate e latte, lui prendeva quasi sempre una spremuta di arancia,
ma quel giorno non lo fece.
Mi alzai per andare alla toilette, e gli dissi "Aspettami amore, certe cose non si possono rimandare".
Lui alzò la mano e con voce bassa rispose: "Vai pure, tanto mi troverai qui".
"MI TROVERAI QUI", queste parole mi perseguiteranno per il resto della mia vita.
Mi avviai verso la toilettes, passando accanto ad un tavolo dove erano intenti a mangiare una
famiglia di quattro persone, il piccolo, in braccio alla mamma, consumava voracemente
il suo gelato, penso cioccolato, visto le macchie che ricoprivano il viso; il papà un uomo
stempiato di mezza età, sorseggiava un caffè dando ogni tanto uno sguardo al giornale
poggiato sulle gambe, roteando la testa con scatti veloci; la ragazzina invece, mi guardò
con i suoi occhi azzurri bellissimi, staccandosi dal bicchiere di latte che teneva stretto tra le
mani e per un attimo parve sussurrarmi qualcosa.
Entrai in bagno con fare solito, accingendomi verso la tazza, mi chiusi dentro e proprio nel
momento in cui girai la chiave sentii un boato, l’ onda d’ urto mi scaraventò all’ indietro
schiacciandomi al muro mentre i vetri andavano in frantumi.
Non riuscivo a pensare, le orecchie mi fischiavano, cosa era successo, mi chiedevo.
Il silenzio assordante mi fece rabbrividire, poi lentamente tornai in me, realizzai che era
successo qualcosa di grave, di mostruoso.
Tornai verso la sala del bar e quello che vidi confermò le mie paure.
Una bomba, si, un attentato aveva devastato quel luogo, mi sembrava la scena di un film,
stentavo a credere che quella fosse la realtà, guardai fisso il posto dove ero seduto pochi
attimi prima, il tavolo, le sedie, tutto era un ammasso di detriti!
Qualche metro più in là il corpo senza vita del mio compagno Albert, mi avvicinai lentamente come in trance, lo abbracciai e scoppiai in un pianto disperato.
E gli altri? mi chiesi, il mio pensiero all’ improvviso andò a quella famiglia che era lì vicino,
mi voltai e con uno scatto fulmineo mi precipitai verso di loro facendomi largo tra le macerie deformi di ogni genere, il fumo denso cominciava a bruciare in gola.
Trovai quei corpi quasi irriconoscibili, sul bambino si intravedevano ancora le macchie di
cioccolato, piansi di nuovo... poi ripresi,
asciugandomi gli occhi con le mani sporche del sangue di Albert, una tragedia si
era consumata sotto i miei occhi, non riuscivo a capire il motivo di una tale crudeltà.
Improvvisamente però, scorsi qualcosa che si muoveva dietro i detriti, mi affrettai a
spostare quei corpi senza vita e vidi la ragazzina, riconobbi i suoi occhi, quello sguardo dolce
che mi supplicava di aiutarla.
Perdeva molto sangue, la presi in braccio con delicatezza e la portai lontano da quell’ inferno,
fuori in strada, tra le grida della gente ferita e le sirene delle ambulanze che arrivavano,
i paramedici ci videro e ci portarono via…