Con voce che trema per l'antico sgomento, gli anziani la narrano con grande tormento. Non so dir se la storia sia vera, o un mito, leggenda o solo una favola nera.
Si narra, in quel luogo, di una giovane donna venuta dal Nord. Bella, diafana, dannata, dal cuore ferito, dall'anima ansiosa, a cui nulla è servito quel posto incantato, baciato da Dio, se poi proprio lì il Fato ha voluto intersecarne la strada: povera donna, la Morte si prese suo figlio. Perduta la gioia più grande, negò sé stessa al mondo e alla vita. Né il cielo, né l'azzurra distesa del mare, neppure le fugaci carezze di avidi amanti, che al corpo, non all'anima greve, donano requie e piacere, nulla poterono per lenire il profondo il dolore che dal giorno funesto ammorbava il suo cuore.
Sperduta, avvilita, fiaccata nell'anima, né il mondo dei morti, né quello dei vivi le offrirono asilo. Sospesa nel mondo di mezzo, nell'aere, fra il cielo e la terra, fatuo spettro, misera ombra di ciò che un tempo ella fu, neppure la bellezza poté donarle ristoro. Temuta da tutti, da tutti compianta. Più nulla a conforto di un cuore squarciato che pena, che s'agita e piange avvilito.
Da allora, da dì della morte, tanto tempo è trascorso, e a distanza di anni non c'è stato rimedio alla triste sorte. Solo parole accorate, un monito oscuro che brucia speranze:
"La Vita, mia dolce, triste signora, che vaghi qual ombra nell'ombra fra pallidi spettri notturni, che riempi di gemiti e lacrime il tuo lugubre vuoto, ricolmo soltanto di rabbia e silenzi, è una lasciva matrona, che offre perenni promesse di gioia, di là da venire, il cui tempo è sempre incompiuto, che si accendono qual lumi in un remoto orizzonte intravisto lontano e che mai si raggiunge.
La gioia, mia fragile, tenera donna, non conosce il presente, è solo un ricordo che s'infigge nell'anima, oppure un miraggio futuro che ci si affanna a inseguire. E' una laida promessa che la Vita pian piano sussurra all'orecchio di povere genti: un qualcosa che fu, o che anche sarà, che si è perso per strada o che sognando insegui in affanno. E se un giorno, per caso e ventura, dovessi lambirne la flebile coda, la vedresti ben presto svanire al calore del sole.
Mia dolce, negletta signora, né carne, né anima, sei aria e vento. Né fiumi, né monti, né muri, né porte potranno impedirci d'udire il tuo cuore battere forte, vederlo che lacrima sangue di desolato dolore, sentirlo pulsare accorato, poi piegarsi all'ingiuria di un Fato che volle rapire al tuo grembo la gioia più grande.
Sei monito eterno d'immenso dolore, e noi uomini stanchi, in timore e tremore, comprendiam finalmente che siamo solo delle povere Animule, vagule, blandule." | |