È un'ignobile accusa, un madornale errore. Non è stato lui, ne sono sicura. È sempre stato un buon marito, non mi ha fatto mancare nulla. Gentile e generoso anche con la nostra bambina. Davvero un padre di famiglia attento e affettuoso. Peccato che il lavoro di giardiniere gli concedesse così poco tempo libero, soprattutto da quando il suo animo buono e caritatevole (piaceranno queste parole al giudice?) lo ha spinto ad assumersi, volontariamente e senza paga, il compito di curare il giardino della scuola. Che impegno! Costantemente occupato fino a pomeriggio inoltrato. Lui è fatto così, pronto ad aiutare il prossimo in difficoltà. Una volta gli trovai delle macchie di sangue nei pantaloni e mi raccontò di aver soccorso una ragazzina caduta dalla bicicletta. In poche parole, un cittadino esemplare. Comunque non dirò al giudice delle foto che teneva nel cassetto. Mi disse che si era offerto per fare un album fotografico di ricordi scolastici. Questa cosa la terrò per me, non vorrei che venisse mal interpretata e Dio sa com'è sospettosa la gente. Sempre pronta a giudicare, perché invidiosa della felicità altrui. Lui è una vittima, un povero innocente.
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Lo odio con tutte le mie forze. Ha rovinato la mia vita. A scuola i ragazzi mi guardano e sembrano dire "Ecco la figlia del mostro". Lo so che è stato lui. Come ha potuto stuprare e massacrare quella poveretta. Una ragazza di soli sedici anni. Dio che vergogna! All'istituto lo vedevo intento a fissare quelle giovani adolescenti. Con la scusa di curare il giardino era sempre impegnato a fotografare le alunne. Un giorno andai a rovistare nei cassetti della sua scrivania e vi trovai un centinaio di foto. Avrei dovuto dirlo a qualcuno, ma non ne ho avuto il coraggio. Al giudice non dirò nulla delle foto, non voglio essere catalogata ufficialmente come la figlia del mostro. Mi spiace solo per mamma, così ingenua e credulona. Non mi sono mai vergognata tanto. Lo odio! Anzi, odio questa città.
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É uno stupratore e un assassino e io lo so bene. Peccato che non lo possa dire al giudice. È sempre stato un tipo strano. Continuamente intento a fotografare le alunne della scuola e a spiarmi con quello sguardo sadico che, il solo ricordo, mi incute ancora timore. Una volta denunciai la cosa alla preside e sapete cosa mi rispose?
"Signorina, non dica fesserie! È una persona onesta e volonterosa, che spontaneamente si è offerta di aiutare l'istituto. Tutti dovrebbero prendere esempio da lui. Anche lei, mia cara".
Quanto avrei voluto parlarne con i miei genitori, ma non l'ho fatto. Tutto successe un mese fa, quando mia madre mi telefonò avvertendo che non sarebbe venuta a prendermi a fine lezione, perché aveva subito un tamponamento e l'auto si era rotta. Corsi verso l'autobus, ma l'autista non mi vide e partì senza di me. Allora decisi di prendere la strada di casa perché il tempo si metteva al peggio e temevo un temporale. Mentre camminavo, arrivò lui e mi chiese se avessi gradito un passaggio. Gli risposi di no, ma improvvisamente iniziò a piovere, una pioggia così intensa e battente che decisi di accettare.
Mi domandò il mio nome (lo sapeva benissimo), si informò sull'età (sapeva anche questo) e improvvisamente prese la direzione errata. Gli dissi che si era sbagliato, rispose che voleva fare un giro in campagna e quando gli strillai di farmi scendere, mi arrivò un pugno in faccia, talmente forte che persi i sensi. Mi risvegliai in un capanno pieno di attrezzi da giardiniere, con le mani legate, un fortissimo dolore in mezzo alle gambe e la gonna sporca di sangue. Iniziai a piangere, pregandolo di lasciarmi andare. Lui chiese un bacio e gli risposi che mi faceva schifo, che lo odiavo. Improvvisamente la sua faccia diventò rossa come il fuoco e iniziò a sbraitare, così forte che il sangue mi si gelò nelle vene. Mi accusò di essere solo una "troietta" (l'infame), che avrei dovuto ringraziare per le sue costanti attenzioni, che ero come tutte le altre ragazze, pronte a denigrare chi non fosse ricco e giovane. Mi urlò di smettere di considerarmi la più bella della classe, talmente altezzosa da mancargli anche il saluto.
Dio sa che io non sono così. Lo implorai alzando la voce, con la speranza che qualcuno sentisse e, quando si stancò della mia disperazione, si avvicinò, estrasse dalla tasca un piccolo oggetto, di cui intravidi solo il bagliore e, improvvisamente, sentii, all'altezza del seno, un dolore così forte e sconosciuto che non seppi interpretarlo. Poi ancora una fitta lancinante alla pancia, alla gamba destra e un altra, un altra ancora... ma dove, non ricordo più. Provai nuovamente a urlare, ma non avevo la forza per farlo. Inizia a sentirmi svuotata, mi girava la testa, non riuscivo più a vedere se non la sua mano che mi colpiva con forza, senza un attimo di tregua, con una crudeltà inumana. Non sentii più dolore e pregai Dio di svegliarmi da quell'incubo.
Chiusi gli occhi e immediatamente rividi il bel volto del mio compagno di banco (quanto mi piaceva), il sorriso luminoso di mamma, le forti mani di papà e la mia sorellina, che mi stava chiamando per giocare con lei. Ripensai alle mie amiche, ai pomeriggi trascorsi a chiaccherare. Riaprii gli occhi e quando ritrovai il suo sorriso malato, pensai alla morte come l'unica via d'uscita.
Io non volevo morire, ero troppo giovane. Avevo un sacco di sogni da realizzare: diplomarmi, avere un fidanzato, viaggiare, conoscere gente nuova, scrivere un libro di favole. Non potevo morire, non era giusto.
Improvvisamente vidi una nuvola nera, sentii un freddo glaciale e dopo un brivido improvviso, tutto si fermò.
Vorrei raccontare al giudice come si sono svolti i fatti, ma non posso più farlo.
Scusate se vi ho parlato di me, ma non ho ancora imparato a essere morta. Vi auguro una lunga vita, quella che io non ho avuto. Non fidatevi di nessuno. A volte le persone possono diventare cattive, maledettamente cattive.