La villetta di Enrico con archi e mattoni a vista, era un bel colpo d’ occhio sullo sfondo degli alberi ai lati del torrente che scorreva circa un Chilometro più in là. L’ aria era ancora calda in quel pomeriggio di luglio sebbene fossero già le venti. Mentre guidava l’ auto a passo d’ uomo, Enrico ammirava il panorama cercando di distrarsi, di calmare quel tonfo sordo che gli rimbombava nelle orecchie. La luna era già apparsa malgrado gli ultimi raggi del tramonto illuminassero ancora il cielo. Con l’ ora legale, tutto aumentava, il tempo e anche l’ ansia per la soluzione che Enrico non aveva più voluto rimandare. La villetta era una delle più belle in quella cittadina di provincia dell’ Oltrepò pavese. I genitori gliela avevano donata quando si era sposato con Angela.
Angela, Il suo tormento, la sua quotidiana punizione...
Aprì il cancello col telecomando e posteggiò l’ auto nel garage già aperto.
Lì accanto, Kira stava sdraiata con le orecchie basse e l’ aria colpevole, nel cortile recintato vicino alla casupola dove Enrico riponeva gli attrezzi, nel retro della casa. Si era rifugiata sotto al tavolino di legno zoppo, sistemato con una pietra sotto una gamba che gli restituiva una stabilità incerta. Kira era un incrocio di pitt bull, una delle razze classificate pericolose, con un bel mantello miele e la gola bianca come la pancia. I muscoli massicci guizzavano dando un’ impressione di potenza e gli occhi piccoli erano attenti e penetranti.
Aveva la coda tra le zampe - le arrivava a metà pancia- e il rossetto attorno alla bocca! O era sangue? … Si, era sangue, anche tra le zampe.
Enrico – cinquant’ anni portati male- si passò una mano sulla testa assestandosi ll riporto dei capelli, poi con un fazzoletto si asciugò il viso imperlato di sudore a causa dell’ accelerazione del cuore. Sicuramente gli era salita di nuovo la pressione- pensò allarmato.
La maglietta si appiccicò alle ascelle e allo stomaco prominente da bevitore, e gli venne un senso di nausea al pensiero di ciò che avrebbe trovato di lì a poco. Pulì gli occhiali che si erano appannati, avanzò lentamente e la vide…
Finalmente! Era accaduto tutto come previsto!
Lei, Angela stava accasciata, seminascosta dietro la siepe di bosso che separava l’ orto e il piccolo cortile dal giardino che – da metà fiancata della casa- si estendeva davanti all’ ingresso della villetta, abbellendola.
La gola di Angela aveva uno squarcio che il sangue rappreso copriva con grossi coaguli. Pallida, gli occhi celesti aperti riflettevano il tetto della casa e i capelli biondo cenere erano sparsi in un’ aureola rossa. Le braccia in una posa strana, rigide, quasi in croce. Era piena di graffi. Una scarpa insanguinata, era lontana vicino al tavolino zoppo.
Il pallore del viso contrastava con gli zigomi imbellettati e il rossetto, di un rosa acceso che Angela si ostinava a mettere malgrado fosse fuori moda da tempo, come i capelli, acconciati con una foggia che dagli anni 60 aveva evidenziato la sua bellezza prorompente. Lei l’ aveva conservata, forse con l’ illusione di fermare il tempo che invece era proseguito senza il suo rabbioso permesso. Un carattere forte, ostinato, con il quale lo aveva dominato per tanti anni, fino ad ora. Adesso era lì, scomposta, col rossetto sbavato, la bocca oscenamente aperta, in un ultimo urlo.
Doveva avere sofferto a lungo. Finalmente aveva avuto quello che si meritava! Ora i giorni di Enrico sarebbero trascorsi quasi monotoni, senza più grida e insulti:
- Cosa fai ancora lì seduto, è tardi! Forza!
- Muoviti, scansati, sei sempre tra i piedi come quella tua cagna schifosa!
- Vai fuori a fumare quel tuo sigaro puzzolente e poi lavati, che non sopporto più la puzza che lasci!
E altre gentilezze dello stesso tipo. Adesso la bocca aperta di Angela aveva emesso il suo ultimo urlo in un ghigno scomposto.
Chiamò il 118 e raccontò all’ operatore l’ accaduto. Poi chiamò i carabinieri. Le sirene di Croce Rossa e Carabinieri fecero un frastuono inquietante e si zittirono quasi contemporaneamente, schizzando sassi con una frenata.
Intanto erano arrivati i primi curiosi dalle abitazioni più vicine. Relativamente vicine perché la sua era l’ ultima villetta del paese. Kira era stata rinchiusa nel ripostiglio, riparata non più dalla sua coda, ma dai suoi tre cuccioli che bevevano il suo latte. I militari non si avvicinarono, e il veterinario dell’ ASL che intervenne in seguito, non ritenne di portarla via, ma si raccomandò con Enrico per la più stretta sorveglianza e prudenza.
Nessuno poteva immaginare, pensò Enrico, soddisfatto della sua furbizia, compiaciuto della sua malignità. Reazione e frutto di anni di umiliazioni subite, da parte di quella donna tanto amata, secoli prima.
Prima che cominciasse a spegnersi per quel figlio che non arrivava, e di cui gli rinfacciava quasi quotidianamente la responsabilità. Prima in modo velato, poi esplicito senza misericordia, per le sue piccole, scarsamente vitali gocce di metà di vita.
Prima che cominciasse a sformarsi in una arpia grassa e urlante.
Pace, finalmente!
Lui e la sua cagna e i cuccioli, questa era ormai la sua vera famiglia, accettata, amata!
Erano lontani nel tempo, i giorni del quotidiano addestramento all’ ubbidienza assoluta di Kira. Si era rivolto ad un centro specializzato per diversi giorni, e dopo aveva seguito i consigli in modo perfetto.
Il cane doveva capire che il capo branco è l’ uomo! Quindi cibo e premi, carezze e ordini secchi, e sguardi diretti.
All’ inizio le ordinava di sedere, poi senza girarsi si allontanava di qualche passo, ordinando “ cuccia” se cercava di alzarsi, e “ vieni” quando doveva farlo, premiandola con una carezza e un biscottino. Poi cominciò a girarle le spalle, allontanandosi di più.
E kira, aveva capito. Grata per le coccole che sarebbero arrivate anche dopo i morsi sulla protezione al braccio, del suo addestratore prima e di Enrico dopo.
Aveva capito quando doveva attaccare. E solo Enrico le portava il cibo. Angela infatti, si era rifiutata di accudire anche in minima parte quella cagna non voluta. Non le piacevano il muso quasi rincagnato e quella bava che scendeva continuamente in rivoli appiccicosi e rivoltanti.
Sogghignando Enrico pensò, che nessuno poteva immaginare perché Kira avesse attaccato Angela, convinta con la scusa di una sua lunga assenza, a portare lei il cibo!
Libero, libero!
Ma ora, doveva mostrarsi addolorato. Domani pomeriggio sarebbe andato dall’ anziana madre, accudita dalla badante Angelika, la piccola ucraina, bella come il sole. Gambe lunghe, seni liberi che si indurivano quando sornione si strusciava fingendo di abbracciare la madre.
Finalmente poteva rifinire il suo progetto. Morta Angela, fra qualche tempo, avrebbe portato madre e badante nella sua casa, e poi chissà!
Il giorno del funerale riuscì persino a piangere di compassione per se stesso più che per la moglie odiata. E tutti intorno a consolarlo e a dirgli di liberarsi di Kira, pericolosa, anche all’ Asl lo avevano consigliato!
Ma lui giustificava Kira, con la scusa dei cuccioli ancora da allattare.
Si ricordò tardi, di Kira in quel giorno, tra il funerale e il caffè offerto dagli amici che lo compiangevano e la visita a sua madre. L’ anziana donna aveva appreso del decesso della nuora, quasi con lo stesso sollievo del figlio. Non erano mai andate d’ accordo. Angela non accettava critiche, né consigli. Dura e saccente, però – doveva riconoscerlo- la sua casa brillava! Uno specchio, che rifletteva solo lei. Da tempo l’ anziana si era rifiutata di recarsi a casa del figlio, e Angela non si ricordava mai di lei.
Enrico ricordò esaltato la mano – non respinta- che aveva posato sulla spalla di Angelika. La curva del suo fianco gli sembrò si appoggiasse complice, procurandogli un brivido di piacere, quando si chinò, per baciare la madre, relegata nella carrozzella.
Forse, la vita nuova stava già cominciando!
Cercando di non fischiettare felice -doveva salvare le apparenze- Enrico aprì la porta dello sgabuzzino. Kira era sdraiata e due cuccioli stavano succhiando. Non vide il terzo, ma sentì il suo acutissimo guaì to, quando entrando, lo calpestò.
Poi chinandosi per raccoglierlo, all’ improvviso, gli mancò il respiro!
Qualcosa lo aveva colpito, gettato in terra, afferrato per la gola. Senza poter urlare, sentì lo scricchiolio di ossa infrante, mentre le braccia annaspavano impotenti.
Non riusciva più a respirare e a staccare l’ enorme testa di Kira, che premeva e beveva il suo sangue per difendere il proprio.
Quello del suo cucciolo calpestato, l’ amore più grande, istinto atavico potente, improvviso, più forte della paura e delle coccole interessate del suo padrone.
Enrico in un ultimo rantolo morì, vittima della sua diabolica macchinazione.
E anche per non avere meditato a sufficienza su frasi fatte, coincidenze strane che furono genesi di proverbi e saggezza spiccioli: “ Chi la fa… l’ aspetti! ”
19/3/2012