| Il gran miraggio d’una ignota sponda
fu spento dal modesto navigare...
furono spenti anche gli urli dall’onda
e troppe spoglie cosparsero il mare.
Trafitto in rada, un rostro il ferro lese
del ventre d’Utopia colma e ingorda,
restano al vespro le memorie appese
che ai posteri non giunga voce sorda.
Rintocchi brevi, panico e poi pianti!
Null’altro porse il pallido albeggiare
che gli stami scarlatti e titillanti
un’onda smorta del funesto mare. |
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| La radice sta lì - sull’alto borgo -
dove soffiano i barbari su brace
ardente e dove quiete
da voce ad incessanti sciabordii
di immutabili rii
che lacrimando in ispidi declivi
fiumare informi fatalmente gonfiano.
Seguimi amico, porgimi l’ascolto
muoviamo insieme verso ignoti fronti,
sali in alto e contempla
l’oltre: sui greppi impervi arrampicandoti
potrai apprezzare puri orizzonti.
Cammina insieme a me
gli asperrimi sentieri dentro alle terre
nere dove le vecchie cetre tacciono
e il vento scrive i tratti...
Cammina insieme a me
dove i demòni mai sembrano gli altri
e dove i freddi nugoli addensandosi
i prospetti maltrattano.
Ardi con me, per una volta, nella
brace, respira polvere,
ardi con me nel mero inferno dove
la quiete cupa è un maglio e chiude gli usci.
Salta con me sul carro dei predati
nel pozzo degli oppressi,
annusa il fango, masticalo,
ascolta delle rose il gran silenzio
e la sete degli orti:
risveglierai l’orgoglio ora gestante
con il respiro acuto d’alte notti.
Cavalca insieme a me, dai, stammi accanto
quando ascende la sera
e strappa i freschi fiori al gelso bianco.
Dammi la mano amico, stammi accanto
come prode formica
unisciti a un esercito che sbanca.
Libagione sarà di sangue e carne
di sangue nostro e carne
e gli echi udranno d’intrepidi passi
di noi che lì saremo - fianco a fianco -
a difenderci il fianco
sui verdi prati o sopra i muti sassi. |
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| Vi indicherei,
se avessi il chiaro all’orizzonte,
la più agevole via per evitare chine
e, se potessi,
adagerei sulle ali del vento
i "si " negati
e i verbi balbettati
perché ve li urli quando,
esauste,
arrancherete su sterrati o rampe
o varcando nevate cime.
So bene che non sono poche stringhe
e scarno é il lascito
per definirlo testamento...
ma voi lasciatemi comunque osservare
e assaporare
con vostri occhi e bocche vostre...
e ascoltare e sfiorare e respirare l’aria
degli inviolati templi:
questo sarà
per i lustri a venire, io lo spero,
il mio sano alimento.
Abbracciate fratello dubbio
e mettetevi sempre in discussione;
senza paura,
respirate ogni istante di vita
a polmoni pieni
vivendo sino in fondo,
senza scartare ciò che a troppi,
più che ad altri al vostro vecchio,
apparirà contraddizione.
Mormorando
con il garbo delle acque che sgorgano
appagate la sete
solo attingendo alla sorgente;
ritemprate la carne e l’anima
in rapide e cascate
quando la pioggia, alleggerendo il cielo,
il rivolo farà torrente.
Tenete le ginocchia ferme,
la schiena dritta
e anche la voce sia decisa
e vedrete che saprà il fuoco dei vostri occhi,
prevaricando foce,
ad accendere il giorno
ed a tracciare nuove rotte
in un oceano che non avrà confini,
sotto una volta tersa,
come quella che impreziosiva il borgo mio
in terre di Fragine,
lassù,
in alto con gli dei,
laddove l’aquila dimora
e oltre le nubi volano gli aironi.
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| I dubbi imperano e rimbalzano i pensieri
come falene su bianche muraglie
ripercorrendo il nostro ieri stracolmo d’angherie.
Garibaldi l’eroe in prospettiva risorgimentale
così come i suoi mille
che per la rifulgente idea liberale
massacrarono più briganti d’altri imperanti
(accaparrandosi la gloria col sangue scrivendo la storia).
E gli allori anche al Conte
stratega dell’inganno piemontese
che predando altrui tesori ripianò le proprie spese
(pose le basi alla questione scannando il meridione).
Complotti scritti negli annali quelli tramati da Mazzini
poi dediche di viali e gioie estinte in tarallucci e vini.
Fu il senso di nazione
a riesumare uno Stato in declino
sacrificando i giudici Falcone
e il mite Borsellino.
Le colpe sono scritte
ma il codice non durerà in eterno
anzi pare designare lo scritto
facile carne da dare all’inferno
- un arbitrario menù per i demoni
che - carta in mano - si scelgono il vitto -.
Ma se soltanto è il soldo la misura
va risvegliata l’anima brigante
per prenderci il futuro.
La libertà spenta nel liberismo
sfuma nella più nera povertà
ma lasciamo stare...
c’è da fidarci delle istituzioni
le sole in grado - per via del cinismo -
di elevare il vigliacco terrorismo
in nobiltà d’una "rivoluzione".
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| Passi impervi tra rocce scarruffate,
tratturi arditi, forche millenarie,
selciati come gemme incastonate,
le segnature eterne... leggendarie.
Delle fiere tribù in terre sannite
- uomini miti e impavidi soldati -
l’urlo riecheggia in valli impoverite
squarciando quei silenzi ora dannati.
Fresca acqua gaia che da forza a fronde
quietata è giunta sul bel litorale
giace reclusa tra globali sponde
confusa e doma dallo scabro sale.
Non voglio udire il fraudolento amico
che il patto primordiale ha rinnegato
ridare ai monti l’elemento antico
nuvole e vento non l’han mai negato.
Vorrò semmai sconfitto con gli inganni
sospinto dalla brezza nell’andare
salire in quota a fine dei miei anni
e all’ombra dei bei colli riposare. |
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| E' crudele la vita
stava per scivolarmi fra le dita
ma forse fu Fortuna
a vomitarmi su questa terra bruna.
Sul podere che dici maledetto
scorsero rivoli di sangue
di noi che frugoli
morivamo di fame
privi d'un decoroso tetto
(disse ancora mio padre).
Il taglio ombelicale sì veloce
mi fece padre e madre già a dieci anni
espulso l'astio quel pianto precoce
mi risparmiò forse eccessivi danni.
Forgiato in lesto divenire
d'adulto vestii panni.
Per sopravvivere
non fu nemmeno necessario
difendermi dall'orco sanguinario
denominato mal di vivere.
A te non è serbata sorte mia
dovrai lottare e domare tempesta
per non farti sbranare dall'arpia
dalla anima molesta.
La sentirai rugghiare
quando scarseggerà il cibo in invecchiare
quando, sfumati i bei vermigli,
la bora nelle carni affonderà gli artigli.
Senza esitare allora imbrattati di fango
e questa nostra terra adorala...
abdiga al tuo rango.
Dovrai il tuo sangue spesso ritemprare
nelle gelide lacrime di Maja
per bramare ancor più la vita gaia
al tepore d'uno sconcio focolare. |
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| Sul volto glabro brillano le lacrime
reliquie quiete d'un duro saluto
che porge l'aspro e che punge più bruto
l'anima smorta di mamma e papà.
Sfuma la nebbia all'albore, in Abruzzo
c'è un nuovo sogno di vita gioviale
sembra che spanda la speranza sale
su squarci aperti dal fresco migrar.
La"du botte" intrattiene e tormentata
tenta di sfare quel nodo intestino
calgionetti e frittelle ed oltre al vino
la quadriglia sul tenero vociar.
Su corde rauche il canto del cardillo
spaghi e valigie colme e tra i sudori
caciotte e moka e poi foto di amori
tra icone della Vergine e caffè.
Nel petto i tratti di vite stirate
a Gibilterra si scruta nel mare
l'abisso oscuro nel sordo pensare
ad ’"Utopïa" che fu persa là.
Sfrontato e crudo poi l'atto finale
nude le carni e l'intimo violato
a pochi metri dal mondo bramato;
un'isola sul Hudson d'aspro sa. |
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| E’ tardi! E’ tardi e incombe già la sera
l’ascesa del crepuscolo solerte
con gli ocra i bei vermigli e gli ori adagia
sulle sponde adrïatiche deserte.
Su seta gli ornamenti del tramonto
la brezza lo accarezza il gentil velo
bisbiglia anche il trabocco mentre al colle
il vespro sposa Vasto col suo cielo.
I dubbi in sguardi attenti e gongolanti
s’appurano in inutile premura
sgambettano due bimbi giubilanti
su bianchi lidi che non li spaürano.
Stringendo a se la sposa ride il vecchio
due rughe il dolce viaggio non incrinano
e nell’offrire al sogno il grigio petto
tra mille stelle liete il dì declina. |
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| (Il tratto d’un popolo lo scrive la storia!
Sfuma la memoria se impera ignoranza...
labile e leggera come anche la gloria
la divora il tempo se regna arroganza).
E migra la moda, lo stile, il buon vino,
rosso maranello, la classe sopraffina,
migrarono statue di santi e madonne,
il Nobel con l’arte, soprabiti e gonne.
Migrante, ma dirlo sembrerà banale,
è la baraccopoli in zona industriale
lamiere ossidate, diacce o arroventate,
la "Silk City" Paterson in Pandraic Cascate.
Una razza pura, sporco meridione,
nordici e terroni, prime distinzione
i "no white" e sputi sulle pelli brune
e i "dago" e i "wop" scesi dalle aliene lune.
Cascame di seta, tinture e cotone,
i primi fermenti d’una ribellione,
l’anarchica idea che in mente già ronza,
tre colpi sparati, quel re ucciso a Monza.
New Orleans e Mortes, corda insaponata
il Times:"Briganti... la violenza è innata..."
Mattmark, Marcinelle, sangue nel carbone,
Monongah e poi Dowson, morire in prigione.
Migrare è "Utopia" squarciata dal mare,
le stive stracolme l’acciaio di bare,
poi la mano nera, l’alibi perfetto,
così avranno un senso le lame nel petto. |
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| Poesïa è l’ansia, lo spasmo, la spina,
il vecchio curvo che nell’acre ascesa
sfidando il vespro esorcizza la resa,
è il grande gelso che non gemma più.
Poesïa è madre che senza più lacrime
afflitta fissa due sfuocate foto
dei figli spersi in un mondo remoto
spinti a salpare dai troppi però.
Sentirsi alieni nel proprio päese,
l’autarca acuto che spegne l’ardore,
che il fiele sputa e svelando il rancore
ti dice: "Zitto se non vivi qua".
Poesïe i lumi strappati dal cielo,
astri brillanti e intrepidi guerrieri,
le cime, il meglio che fu perso ieri,
l’oro svenduto nel grande bazar.
Un carme è il ciocco trascinato al fuoco,
gli anni anneriti con fronte al camino
scolando feccia dal rancido tino,
scorci bruciati dal freddo che fa. |
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Non serve accartocciarsi
per offrire un profilo esiguo al nord
quando frusta la bora;
e nessuno sa dirci
dove appigliarci e in che modo ancorarci
assecondando vortici
o come torcerci a spirale
- nastri di carne appesi all’occhio di voluta -.
Secoli di trincee
scavate inutilmente
a scongiurare un orrido declino.
Ingannati...
figli delle montagne
assassinati nel pianoro del vicino.
Quale strada intraprendere ora
- con membra sfibrate -
giacché la guerra ripudiammo allora?
Ossidate le falci
scudi - crociati - ed i martelli rotti
gli aguzzini son tutti morti.
Serve a poco la pace se le angosce ci divorano;
è meglio ribellarsi allora
quando la stasi più che la guerra conficca croci
nelle crepe di terre senza voci. |
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| Ricordi?... Aironi noi
a disegnare i sogni, con gli Dei,
in cieli verdi sopra ai cari tetti...
e ancor più in alto, come aquile poi,
in voli azzardati oltre
le nuvole violando calve vette.
A te, mio caro amico,
che hai saputo spronarmi e supportarmi
tenendoti la rabbia dentro al petto...
a te che mia rabbia l’hai spuntata
sferrando frasi senza far difetto.
Di parole pacate sempre prodigo
quando austero suonava
il tono della notte
o anche quando il silenzio
chiamava a danza quell’ombre ammantate
dalle trine dell’ozio
tra grovigli di strade strette o storte.
Colorare hai voluto
e ravvivare i miei giorni d’inverno
notti scialbe ha saputo illuminare
mentre bruciavi, e senza mai urlarlo,
nel tuo profondo inferno.
Come quando più acerbi
senza fiatare ci diciamo tutto
siamo due libri aperti
e dai silenzi si estrapola il lutto.
Due versi a te, caro amico e gradito,
che bruceresti con me mille sonni
per un dolce amarcord ed infinito. |
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Uomo non credere
che sia estinta la sete di sangue
non pensare d’aver
con leggi e regole ingabbiato mondi.
Uomo non credere
che sia estinta la fame di carne
alza lo sguardo stormi
di corvi e neri strati oscurano orizzonti.
Il silenzio accompagna
rantoli della civiltà rurale falcidiata dall’insipienza
ed ora che la sera accresce le ombre
nell’informe clamore l’etica soccombe
scarnificando l’anima
che per secoli ha reso nobile esistenza.
Raccolgo le vestigia
e mi conduco - testimone d’acqua -
senza voce
nell’alveo del fiume in secca;
corro alla foce
lo sguardo volto a plumbei scenari
indicizzati dall’uomo
sempre più mosso da istinti bestiali
acuminati dalla conoscenza. |
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Le rondini non sono affatto pigre
ma, quando esauste, alcune più non migrano!
Non muovono le menti,
ferme, inchiodate a consumate sponde
a mondare detriti
portati dai rigurgiti dell’onde
e a lambire momenti .
Ma incombono le nubi e l’ombre tornano
in nere notti e in giorni
grigi i ricordi non nicchiano... ringhiano.
Poi l’occhio approda a dissepolti porti
al crocchio dolce, a profusioni d’orti,
a bagordi degli anni più fulgenti,
a cento braccia dentro a bocche ardenti.
Quando i nugoli oscuri sono bassi
rientrano in tane e tra i silenti sassi
nei freddi nidi stanno uccelli stanchi
la nera attesa sotto ai tetti bianchi. |
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Polla di fuoco è l’orizzonte, l’aria
come pece che cola dal crinale
i monti ammanta un’ombra lunga e insidia
un universo poco funzionale.
Un universo oscuro - parallelo -
fatto di sassi e di spigoli e scale
dove non sempre il sole scioglie il gelo
e una sera di marmo sparge sale.
Sembra un amorfo mondo, meno aulente,
ottenebrato da illusorio faro
- per molti ambire al mare più clemente
è apparso il passo più opportuno e chiaro -.
Soltanto un tarlo in testa tiene banco
che allatti l’alba la sola giornata
il vecchio lupo ha abbandonato il branco
- sarà perfetta l’ultima risata -.
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Era un ragazzo semplice, come uno
di noi tanti allattati dalla strada,
scalzò la neve e bacche colse al pruno
dell'entusiasmo fece un'aspra spada.
Fernando aveva un'anima: era pura,
più pura d'altri pargoli appagati
dalla vita di borgo, a volte dura,
più dura dei sentieri divorati.
Seppur non fosse esente da incertezze
fino in fondo affrontava e con passione
paure, dubbi e umane insicurezze
- un bucaniere a caccia d'eccezione.
Li disegnava i sogni e in gaio cielo
librava l'acrobatico aquilone
quando la notte stese il tetro velo
driblò i suoi demoni con un pallone.
Forse pensò d'aver già colto frutti
cullato da due stelle e dalla luna:
"Non ha alcun senso disturbare tutti
quando morde la sera e il vespro imbruna". |
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| La valle veste un gran manto di bruma
allegro il Treste sciabordando sfuma
tenaci mormorii in sottobosco...
l'autunno si rivela tra quel fosco.
Alita il vento e ruba foglie ai rami
sui viali posa con garbo ricami
vermigli accesi ed ocra riversi
ritemprano sul prato toni persi.
Tuban colombe sull'alto torrione
al vespro che imbrunisce anche il vallone
già quasi nudo il caro vecchio pero
par che invochi pietà dal cielo austero.
E piange l'usignolo un primo volo
dipana pathos in un canto solo
migra la rondine e già in viaggio spera
nel prossimo ritorno in primavera. |
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| Elegante ed armoniosa sul roccioso letto posa
negli anemici vialetti c'è un vital lieve pulsare
torreggiante sulle valli l'eleganza d'una sposa
memorabile vedetta scruta ancor brigante il mare.
Ammaliato va lo sguardo sui cromatici colori
le respiro le carezze su quell'alito di vento
quand'è sazia infine l'alma dei suoi vespertini odori
luna amica squarcia il velo che m'avvolge del tormento.
Nel suo buon grembo materno la residua spersa prole
si alimenta quand'è sera di squisite ore gioviali
dell'argilla vien profumo di ginestre e delle viole
nell'autunno olezza il mosto e con la bruma pregna i viali.
Sotto l'ombra della quercia l'impagabile bisbiglio
tra i profumi di tartufi mi confondo in mezzo al prato
non resisto al gran richiamo giacché sono anch'io un figlio
di quel mistico silenzio del bell'eremo datato. |
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Soffiò un nuovo caldo vento sull’Europa liberale
ma il borbone non comprese movimento sì letale
cospirò così il Piemonte pregustando il bei tornesi
portò guerra e depredando rimpinguò i suoi fondi spesi.
Profittando di Giuseppe e belve rosse scatenate
fuoco a polveri in Palermo Due Sicilie conquistate
coi briganti il partigiano non sapea d'esser confuso
dando al mite Franceschiello quel suo umile tributo.
Prigioniero a Fenestrelle pane ed acqua tutto il verno
gli parea d'aver traslato solo in altro muto inferno
savoiardo il servitore celò arguto l'intenzione
poi tramando sottobanco perseguì solo annessione.
Fu coniata proprio allora la parola meridione
campi e industrie distaccate così nacque la "questione". |
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| Alcuni Uomini
non sono come gli altri, come i molti
che di parole abbondano...
come i tanti che balbettano troppe frasi
e che tacciono invece ciò che
distingue l'essere,
l'essenza,
quel che - più dell'urlare - negli umani
di certo conta.
Ci sembrano immortali,
come gli ulivi secolari, sempreverdi le foglie,
e non avrebbero alcun bisogno
di proferire verbo
giacché con gli occhi essi raccontano.
I silenzi essenziali li sanno ascoltare
per poi plasmarli,
sanno intuire umori e illuminare,
bucare nubi per rubare
i colori del cielo e degli astri il fulgore
quando il tempo nasconde.
Questi uomini san leggere l'anima
e costruire bene i ponti.
Sono onesti e non sanno cosa sia
il tradimento ed è per questo che
nelle mille battaglie della
vita, vorresti averli
accanto sempre
a combattere insieme a te
per gli ideali e fianco a fianco.
Gli uomini come Benjamin
sui sassi sanno scrivere la storia
lo fanno con i fatti,
la vita loro rendono poesia
e d'altri i verdi tratti.
L'ho respirato nel suo sguardo il pianto,
l'aspro della disfatta,
ho accarezzato il buio e sue mute
paure ben sperando...
pregando ed affinché potesse farcela.
Non l'ho mai fatto, è bene che si sappia,
ma nelle mani di uomini rari
io avrei affidato la mia sorte...
Ben, era in cima a questa breve lista. |
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| *
Migrare è quarantena di dolore
perduto in mare giovane l’amore
un mezzo viaggio del figlio ammalato
l'orrido oceano che l'ha ingoiato.
Migrare è sogno d'un attracco in porto
l’atteso “passed” su quel passaporto
un tuffo in acqua e non saper nuotare
che sa di morte quel “non può passare”.
Migrato l'uomo conosciuto in foto
essere accolta da un marito ignoto
linciaggio oltraggio quel rifiuto vano
che punta il dito la paterna mano.
Quei lunghi lustri da quando migrati
commossi abbracci a pargoli tornati
tenace donna che mai cede al gelo
sul crine sempre quello oscuro velo.
Migrante è lacrima giammai versata
su lapide di madre mai trovata
nera la polvere nel suo polmone
l'odio sputato a quel boia padrone.
Spietato fuoco che divora donne
serrate in fabbrica a cucire gonne
migranti calpestati nel salone
la tarantella per sgravar tensione.
Migrante pure il piccolo soldato
sbarcato ad Anzio e morto fucilato.
* |
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| Non è semplice vivere
in certi posti, quando un cappio preme
la giugulare e stagna il sangue in cuore.
Non é semplice vivere
se nel petto ferito esplode l’eco
d’un sepolto splendore.
E, vacillando tra crepacci occulti,
tirano avanti chini
ridisegnando i giorni con coraggio
in notturni tumulti
di vite grevi e nel non breve viaggio
sui labili confini.
Versato dai trascorsi
fulgido sangue sopra a logge alpine,
dei cerberi sui dorsi
i muti tetti sotto a vette albine.
Alle spalle gli allori:
il cielo è cupo sopra agli alti borghi,
a valle, in freddi nidi,
gracchiano gazze sopra ai tigli spogli.
Accantonati i vecchi
la bruciante sconfitta in quiete leggono
respirando pochezza,
piegati e amareggiati
con occhi schiusi all’oltre si sorreggono...
combattendo l’asprezza. |
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| All’alba il sole svela l’orizzonte
mitiga i tetti col siena bruciato
sfumando il verde giovane del monte
dà luce al cielo dai cirri velato.
E’ dolce e fresca la notte frainese
brillano gli astri più vivaci e belli
le lucciole che in aria sono appese
adornano i suoi morbidi capelli.
Nel vecchio poggio il fieno già profuma
i ceppi secchi stanno accatastati
pavoneggia l’autunno tra la bruma
con i caldi colori mai sprecati.
Veste di bianco l’umile convento
il ghiaccio morde l’acero spogliato
fischia plasmando bianche dune il vento
resterà a lungo il mantello inviolato. |
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| Così è che volle il popolo devoto
mura di roccia sul vallone noto
la casa della Madre del Signore
attigua al cerro che indicò il pastore.
I lievi passi su quel verde prato
disturbano il silenzio delicato
par che consumi il mio fiato invadente
l’estatica atmosfera ch’è suadente.
L'essenza dentro l'eremo è scolpita
chiama alla prece ed alla pace ambita
è eccesso anche il bisbiglio più garbato
o un lamento pargoletto un po' annoiato.
Con palpebre socchiuse la si sente
l'aulenza dell’Eccelso e ingenuamente
la guardo negli occhi cercando il segno
ch'approvi del devoto amar l’impegno.
Ma basta già sentirla lì presente
fulgida stella dell'amata gente
Lei solo saprà togliere le spine
materna protettrice di Fraìne. |
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| Li ricordo quei giorni quando ingenuo bambino
imploravo la nonna d’allungarmi il calzino
nel camino alla Sera tutti in cerca d’appigli
reclamavo il più in vista poiché primo dei figli.
Di scoprirne i segreti non s’aveva il permesso
un folletto di notte vigilava all’ingresso
tra le noci, le arance, mandarini e dolcetti
il carbone abbondava con i ricci i confetti.
Se nel fondo del sacco ci trovavo un soldato
come tanti bambini mi sentivo appagato
era un angelo forse che volava sui tetti
con sembianze di vecchia sublimava gli affetti. |
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Nel vuoto svolgo nastri,
vecchi inventari spolvero, archiviati,
ma nella anima mïa nulla manca:
i campi, i canti, i miei teneri inciampi,
mille sterpi e la stanca,
gli altari, gli astri, i salari, i disastri,
poi vento, neve, il mio vecchio che arranca,
i muti tetti e i tratturi svuotati.
Come croci, i ricordi, incolonnati
stan tutti lì, piantati in antri ardenti,
alte steli e fulgenti
a rammentarmi e miglia e lampi e fiati.
Sulla pelle spalmati
radicati nel petto, come stelle
che bucano biancori,
gagliardi fiori sui cigli ghiacciati.
Pagano i pochi per peccati plurimi
i cui postumi pesano su ignari,
ingenui, prede di duri, di oscuri
burattinai, contabili che ilàri
il dolore dei deboli non toccano
in diseguale crescita e farlocca:
pagano i pochi passaggi imperfetti;
periferïe urbane, senza storia,
guadagnano la gloria
i palpiti strappando ai prodi tetti.
Morto è quel cielo aulente,
il mondo è morto, è dei rovi ora il prato.
La domanda è dolente:
"Chi l’ha pagato il progresso agognato?" |
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