Paesi obliti, quasi sospesi,
sopra impassibili colline brune,
stanchi muri che ancora sanno
di calce bianca e biada,
distesi come un bucato
appeso al vento
in un ondeggiare lento
che nulla muta di quel silenzio.
Sempre più rari nell’essere vivi
sempre più schivi ai corti passi svelti
delle stagioni ricorrenti;
ecco già sale inverno alla collina
e solo ieri s’era d’estate.
Per buona sorte è loro ignota
la furia folle che corre a valle
quasi a dimenticare cielo e mare
che invece loro sanno ancora sognare
nel tempo immoto che li preserva. |
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Umano vezzo
la malinconia ed il canto mesto
poi che gli dei mai seppero
il correre veloce delle ore
o la memoria di un ritorno
o del dolore i morsi atroci
nell'affanno.
Tutto o quasi avemmo in dono
e giorni e sentimenti e vita
per loro insindacabile diletto
in quest'Iliade
che non sarà mai scritta
ma pure resta,
per ognuno ed ogni giorno,
la nostra propria vita. |
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Malinconico ritorno
da quel tragitto
sognato a lungo,
inseguito,
percorso e perso.
Malinconia come all'addio,
nel mentre del partir lontano.
Sogno incompiuto, realtà lasciata.
Non basterà un canto,
né un fresco refolo di vento
o la nostalgica speranza
che tutto cambi presto da se stesso.
Gracchieranno i corvi e rideranno i merli
nella polvere che avvolge tutt'intorno
la malinconia di quel ritorno. |
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La cattedrale è ancora là,
dove da sempre è stata,
la strada è ancora quella
di quando fu creata.
Non più però a iosa
rintocchi di campane
ulivo in ramoscelli,
festante accorrere di genti.
Poche ormai le preci al ciel levate
e poche le parole a consolar
del faticoso viver quotidiano
che tanto ci consuma
nella diuturna sfida col destino
che ad ognuno bussa
sulla porta ogni mattina.
Il bene ed il male,
il più ed il meno,
l'immenso leviatano del destino
che solca il burrascoso mar dell'anima
cibandosi di un Tempo
che non scorre ma consuma...
tutto è a se stesso ormai lasciato,
tutto è lontano.
La cattedrale è ancora là,
come da sempre è stata... |
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S'acquieta ora nell'anima la vita
china su se stessa, prona,
a rimirar la stanca e ferma gora
dei corti passi svelti del passato.
Lieve una brezza che non scalfisce
scivola nell'acqua senza mossa,
indifferente specchio al folto del
canneto ancora verdeggiante di colori.
Tutto se ne sta come aspettando
Il vento fresco di settembre
dopo la calura estiva soffocante d'afa.
Non più però nell'acqua che ristagna
profumo di mari trasognati,
tempeste burrascose ormai domate
meravigliosi e arditi nuovi approdi
o nuove terre dai confini inesplorati.
No, non più, tutto riposa.
E si sta lì, su quella riva,
ancora e sempre
nell'attesa di qualcosa
in un silenzio surreale
che pare spento di promesse. |
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E da scritture antiche tramandata
rimesta il cuore la chiara via
che attraversa il mondo, la vita,
diretta e dritta, senza ritorno,
senza un dintorno o una strettoia,
neppure un bivio ad ingannare
l'umile nuovo incerto viaggiatore.
Rimesta il cuore che la vagheggia,
la desidera e la spera,
senza poterla oggi
riconoscere o incontrare.
Poiché é d'obbligo l'andare
si procede come nel buio, di sentita,
per mille strade contorte, scure
e sconosciute nella speranza
di vedere d'una di esse sul finire
la luce vera che manda il sole. |
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Notti verranno nelle quali
ad ogni pescatore nelle reti
gettate in mare
altro non resterà
che qualche alga e amaro sale.
Al sorgere del sole in quei giorni
per ritrovare dell'usignolo
il trillo delicato
dovremo fino in fondo
scandagliare i recessi penetrali
delle più antiche e sacre umane cattedrali. |
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Diffusa è oggi nell'aria
una luce tanto chiara
che ogni cosa sembra
essere pura trasparenza
così da ravvisarne,
quasi, l'intima sostanza.
Il cielo è tanto aperto
che ad un passo sol da noi,
si scorge in un baleno
intero l'universo.
Limpido si stende
l'invalicabile orizzonte,
monito e misura
all'umana finitudine,
e pare tanto vicino da poter
addirittura esser superato
aprendo i suoi cancelli d'oro
sull'infinito spalancati. |
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Nell'orizzonte di un tramonto
Stemperato nella profondità del mare
fievole va a smarrirsi e svanisce
qualunque umano trionfo.
Quel naufragare da' giusta la misura
di quel che conta e ciò che vale
nell''immortalità il mortale:
un nulla che dispera,
se manca del riverbero essenziale
che riesca a illuminar della sua luce
il curvilineo limite terreno che tutto
in sé confonder può in un naufragio
da cui altrimenti mai si avrà ritorno. |
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Oltre l'umano
tragitto quotidiano
tra alte vette
di perenni silenzi
a domande vane,
intravediamo spesso
verdi praterie
di nitide speranze
irrimediabilmente,
perpetuamente acerbe.
Emigreremo da quest'esilio
che non ha risposte
e andremo verso l'immobile
immanenza di un Tempo
che non scorre e lo vivremo,
non più da semplici
viandanti di passaggio
ma come partecipi realtà
di quell'essenza che non teme
il correre veloce delle ore
e tutto in sé riassume
ciò che davvero importa
nel limpido concludersi
sereno d'ogni domanda
che allora avrà la giusta sua
inappuntabile risposta . |
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A lungo viaggeremo e pur lontano,
senza mappa alcuna ad indicar la via
o ben sapere ove si debba andare.
Ci basterà d’andare, anche senza capire
dove oggi siamo o si sarà domani.
In fondo proprio quello noi amiamo
il viaggio per il viaggio, e tanto basta.
Arriveremo poi a quell’incrocio
del tempo nostro con il suo destino
che vale più del gran peregrinare
per lunghi tratti ed ampie strade.
Domanderà l’anima ragione
dell’esser stesso suo e come
debba proseguire il suo cammino.
In quel preciso istante in cielo l’aquilone
avrà già preso vento per scoprire
ove il filo suo lo voglia a volteggiare
ed anche il fiume dovrà dire
in quale mare infine andrà a sfociare. |
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Allo sfociar del tempo,
nell'immane e denso
ultimo scorrere
di quelle acque,
naufragando annega
ogni terreno sogno.
Con ali di farfalla
volarono giorni luminosi
e chiari d' indomite speranze
e canti di sirena maliardi
di lusinghe traditrici.
Si sfiorò nell'anima e nella mente
addirittura il vero, l'assoluto,
mancandolo d'un niente.
Questo il privilegio nostro,
e pure la condanna.
Aspetteremo ancora,
sinché la foce si farà sorgente
e forse là, un giorno,
davvero tutto si potrà capire. |
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Per secoli, cantilenando a iosa,
arùspici ed auspìci
hanno provato a divinare
il fato misterioso che nelle braccia
sue raccoglie ogni fragilità umana.
Invano, poi che a nulla giova,
anzi atterrisce oppure illude,
un menzognero sguardo sul domani.
Riecheggiano scarne parole antiche...
"Bestia da soma, null'altro tu sei, uomo,
ed alla fin sarai soltanto giudicato pel
numero di some che tu avrai portato."
O forse sopravviveremo, quando sarà l'ora,
a noi stessi ancora e non sarà questa
d'adesso l'ultima vera sopravvivenza
del nostro essere stesso?
Perennemente angustia e intimorisce
l'ignoto destino d'ognuno. |
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Livide e cupe ora
quelle stesse coste
che ancora ieri erano
variegate e chiare.
Più non è tempo
d'azzardi e fantasie,
vagheggiamenti e voli
o folli leggiadrie.
C'incamminiam da oggi
a passi calmi e meditati
lungo i tratturi,
già dal calpestio altrui segnati,
che vanno all'Abbazia
delle Indulgenze,
tra i chiostri del perdono,
per rievocare in verde
quieta solitudine
i giorni uno per uno
e i gesti e le persone,
gli affetti e i sentimenti,
provando di lenire in noi
ogni inevitabile tormento
che all'anima riaffiori.
Incontreremo per la via
draghi, leoni e forse anche liocorni,
fantasmi, ubbie e stretti ponti audaci
sospesi sull'abisso,
e pur tutto sapremo superare
se chiaro avremo in cuore
dove e perché dobbiamo andare. |
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