Il Gennaio dagli occhi di lupo
passeggia sulla neve leggero
ma con animo triste e cupo
lascia le sue orme al mistero
all’enigma del seme nascosto
sotto la candida coltre gelata
che lui protegge in quel posto
ove mai minaccia è arrivata
presto il tempo del germoglio
verrà ancora una volta a stupire
e il Gennaio pieno d’orgoglio
potrà così con un ghigno gioire. |
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Il monco Febbraio sbriciola i suoi giorni
sulle strade battute d’algida tramontana,
come coriandoli svolazzanti sui sogni
di fantastici elfi e gnomi di montagna,
trita il suo tempo in istanti e momenti
che scendon giù come fiocchi di neve,
a coprire delicatamente le trasparenti
e tenue vite che si consumano in breve,
urla la sofferenza del Pierrot triste,
lacrimando in silenzio bianche perline
coi dolori del buio inverno miste
e versando rugiada sulle sue mattine.
Giace sulle sue membra l’Arlecchino
già fiacco e stanco d’allietar la gente,
fugge via il Pulcinella con un inchino
scomparendo tra la nebbia irriverente
e il monco Febbraio si dilegua in fretta,
scivolando lungo i pendii del tempo,
giù a valle verso il letargo che l’aspetta:
rapido svanisce, fulmineo come lampo. |
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Il Marzo opulento s’ingrassa
di nuovi germogli d’erba fresca
e dilata i giorni, sempre più adorni
d’intensa luce. Gioiscono
i cuori della mite Primavera
che recita l’annuale atmosfera
d’aspri profumi cosparsa.
Vivifica i colori, Marzo. Delinea
ancor più il confine dell’ombra,
proietta la fertile vita verso
la raccolta dei frutti maturi.
Feconda l’attesa in avvenimento
e le notti in giorni futuri.
Il variabile s’intreccia al volubile
e il bislacco all’incerto s’abbraccia,
allor che Marzo si fa ignobile
e del suo essere non lascia traccia. |
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Il gentil mese
che April si nomina
e sì cortese
ch’ogni lacrima
affida al vento
di Primavera
e fa contento
ogni cor che spera
al tempo buono
al dolce incanto
ch’ispira perdono
e se ne fa vanto
sì calmo e dolce
il pulsar egli tiene
del clima suo nobile
com’il rango conviene
al principe dei mesi
che natura conduce
al risveglio degl’accesi
color ch’ella produce
sulla vergin tela
dei verdi prati in fior
a gioir chi anela
all’estasi del cuor. |
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Arde di fuoco e di vita
il pullular di spighe
che ondeggia. Infinita
la voglia di fughe
tra grano e orizzonte.
Correre in libertà,
a raggiunger la fonte
che dona sazietà
e novello vigore.
L’istinto prevale
sul razionale rigore,
l’impulso m’assale:
è Giugno sanguigno
di caldo solivo
che sprizza, arcigno,
d’energia giulivo. |
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Filo d’aria
accarezza foglie
coccolandole
con bisbiglio
che assopisce,
nel tramonto
di stanco giorno
sciroccoso.
Refolo debole
smunto vagheggia
tra un filare
che adombra
ogni smania
di travaglio
e la distesa
di giallo paglia,
infuocata
dal rosso vermiglio
quand’è vespero.
Tutto avvampa,
non il cuore.
Quasi non batte
nell’arida arsura
che genera tedio.
Immobilità. |
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| L’appiccicoso Agosto sdrucciola,
scivolando sui bianchi muri
di calce rugosa che sgocciola,
sciolta dal caldo di mille soli.
Immobile lucertola senza coda.
Immobile cactus verde pallido.
L’appiccicoso Agosto annoda
il tempo di frescura avido,
strozzandolo con afa violenta.
Si squaglia il vivere quotidiano,
appannando gli occhi di cruenta
visione di brezza che da lontano
sembra vera, ma si tratta d’estasi
che svanisce, anch’essa liquefatta,
evaporando come acqua d’oasi
in un deserto d’ovatta sfatta. |
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| Il Settembre dalle lunghe ombre
del tardo meriggio ormai breve
s’allieta nelle spiagge già sgombre
d’affollate membra ed è lieve
l’assaporar il silente ondeggiare
d’argentea acqua col cielo riflesso:
il silenzio in silenzio m’appare
dentro il cuore che batte dimesso. |
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| Il mosto oramai è vino di botte
e pronto è il cuore ad ubriacarsi,
nell’estasi verace di questa notte
che già scalpita e prende a morsi
ogni ragione d’esistere, in ottobre,
prima che luce d’alba sorprenda
lo stropiccio di tremule palpebre,
al risvegliarsi d’angoscia orrenda.
Corre incontro al primo bagliore
che s’alza nel cielo all’orizzonte,
il puledro Ottobre, così il calore
potrà derubare al sole nascente
e al galoppo fuggire al confine
tra caduco fogliame e il niente
d’un trist’inverno al gelo incline. |
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| Il funesto Novembre s’adombra
degli abeti, sulla collina silente
dove l’alba s’è già tramontata
e quieta nella polvere si riposa,
lassù, ove il respiro s’è fermato
ed il biancore di luna riflette
l’immobilità d’ogni pensiero:
la stasi che si nutre del nulla
e pallida s’accascia smunta.
Ferale presagio è Novembre
d’inverno alle porte, ch’irride
la vita di strade già sgombre
e sonnecchia negli angoli bui.
Nei meandrici vicoli si perde
il segno tracciato da negletti
giorni di foglie già appassite
da un tempo che non tornerà
a consolare le proprie vittime,
ma le seppellirà insieme a te,
funesto Novembre di morte. |
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| Dicembre incipit
tra caduche foglie
e svolazzanti amori
sospinti dal vento di passione
che soffia
sull’umanità rarefatta.
Incipit tra ringhianti bufere
e placide bonacce
di tenui illusori sogni
e rimembranze estive
di afose verande
al sapor di salsa e basilico.
Nel nulla svanisce
il pensier di ciò che sarà
il freddo inverno a venire
quando un silenzio di gelo
proteggerà la vita
nell’attesa di un germoglio. |
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