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Valentino Mazzuca
Le 16 poesie di Valentino Mazzuca
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Stasera esser vorrei
la culice puttana,
certa d’almeno morire
sorpresa dai primi
geli autunnali,
o il polpo policromo,
che tra deserti spalti
d’alghe nocive
e insidiosi grovigli di coralli,
dei suoi tre cuori si stordisce al palpito
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Facemmo più fatica noi
a stare al mondo,
col dolore ch’affilava le sue unghie nella carne
e ulcerava il nostro cuore di poeti.
Affogammo i canti nella bufera,
nel grembo insonne dei tramonti siderali,
e fu misera dolcezza di tigli
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Affiderò a quest’Aterno slavato
il mio pegno d’amore,
e alle taverne odorose di vita,
sì da condurmi lontano,
nella terra che serba i tuoi
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Insiste tra le logge un'ombra fredda.
C'è chi ama respirare a piccole boccate,
mi ripeto ogni domenica. Ma la realtà è quella,
non si può riempirla quando è vuota.
Felice è l'allodola che dà un
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Appari, e la malcerta trama dell'esistibile
si disfà in un brusio di primavere:
è neve la tua dolcezza, canto oltre la morte.
Ho dato il tuo nome alle nubi, al granito delle valli,
ai fumidi orizzonti che mi dividono dall'Ercte.
E
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il massacro c'è stato, restano le macerie.
restano i tuoi spartiti di Prokofiev, il grecale che sferza l'asfalto,
mozziconi semispenti e cocci di bottiglia sul tappeto.
l'amore passa, passa quasi sempre.
e un amore morto che non ha mai
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Anche stasera la luna mi farà visita,
sicura di trovarmi qui, in veranda,
a rimuginare sull'aria allegra
che avrebbe potuto avere il mio panchetto
a metà mattina,
senza il fardello d'un misero culo,
mentre m'illudo che si possa fare
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No, non è morto il tuo sposo:
s'è addormentato all'acerbo richiamo del capelvenere
ed ora sogna i vent'anni mai avuti.
Ti prego, o figlia di Sion,
per le gazzelle ed i cervi della pianura,
non destare, non scuotere dal sonno
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Sempre disteso nel lino, tra i vasi d'aspidistra,
a carezzare Mozart (dei tuoi soriani il più ammanicato)
mentre la gazzetta bofonchia
quaranta morti sulle strade delle vacanze, il peggiore weekend:
e così resisti, senza la folle idea
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Invia un messaggio privato a Valentino Mazzuca.
s'indovinava l'autunno
dalla stizza del Salinello,
sdraiati sub tegmine fagi come carcami.
ed era pur nostro il canto delle strigi
annidate tra i ruderi di Castel Manfrino,
mentre un'Ecate un po' ingobbita
candiva il sottobosco.
non pensavamo
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T'accasci ubriaca
d'inganni, o libellula,
nella maiolica
d'antiche nepenti,
tra i plinti diruti
e l'alida
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Doris habet murrae in linteis et Solymae tres
ad subdendum se unciarum barathro
in leti: "Fortuna ibi, peregrine,
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Nel chiostro superbo si scorge,
tra melograni di bromo,
un cimitero, e gemendo un'avara
fontana affida i suoi annali
all'effimera brina...
Ivi riposa
l'infanzia, o Chiarina (quando
per celia ti chiamavo Amaryllis
ed il timido sorriso d'una
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Clori, ninfa dei fiori, dolceamaro
incanto, ahimé, disciolto nell'oppio
d'un amante infelice: orsù, ritorna
all'algido brumaio, al
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Presso un'urna greca
Suggi la luce – straziata ormai dall'amata armonia,
tra gli umili bossi d'onorate pianure
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Perdonami, Emma,
se debole giunge il mio verso
all’umile, candida pietra...
Tu non ricordi l’oceano
e il nugolo di
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