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Giovanni Ciao
Le 20 poesie di Giovanni Ciao
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Tendo l’orecchio
ed io lo sento,
tagliente sibila, in un vorticoso abbraccio.
Di foglie gialle un mulinello,
che crepitando gemono
sotto i miei celeri ed ansanti passi.
Sporgo la mano
e assaporare posso
fredde e brillanti lacrime di cielo.
Poco
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Il giorno che insegue il giorno
così questo nostro tempo va.
Come un gioco di bimbi,
quel frenetico rincorrersi l’un l’altro.
Poi, all’improvviso,
la stessa trasparente felicità
la leggi negli occhi di colui
che specchiandosi nei
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Vorrei che il vento si placasse ora
e al tondo del viso tuo portasse indugio.
Nel mare dei tuoi occhi sprofondare ancora
quindi riemergerne possente e grigio.
Le labbra poi a lungo carezzare
fintanto da scoprir lo splendido sorriso.
Perdersi alfin
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Mirare or voglio con dolcezza
il volto tuo.
L’argento del tuo capo
sul mio petto chino
degnare di una timida carezza.
Risponder poi alle preziose rughe
con un sorriso di rassegnata comprensione.
Amica, donna, madre e amante,
resta compagna mia nel
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Piovono
tepide stille di cielo
qui sul mio freddo ed incredulo viso,
perforan di lacrime il velo,
che separa da me quello specchio ormai opaco:
il tuo antico sorriso.
Piovono
gelide stelle
dall’alto di un cielo tremante,
lo sguardo tuo altero che
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Son belle le mie donne.
Dolci e fresche fonti
cui attingere ogni giorno,
gioia e calore
rabbia e colore,
mite arrendevolezza,
saggia solerzia.
Mogli e madri,
compagne e amanti.
Figlie furenti, qual muse nascenti.
Aprono il cor, schiudon la
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Ricordo
e ancor ti sento
quella primavera indosso.
Pesca fragrante
morbida albicocca
mandorla che inebria.
Un sì
fatto di gesti, audaci
di sorrisi
di sguardi,
densi più di mille baci.
Quello sfiorar fra mani,
la voglia di
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Sto qui,
a guardare.
Le foglie fremono alla brezza,
d’un pomeriggio d’un autunno
dorato, caldo, pigro.
L’ancor verde si scontra,
col
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Quegli occhi lucidi di pianto
lo sguardo vuoto in cerca di qualcuno,
dei nostri figli sono, che non abbiam più accanto;
ma ciò non desta sdegno più in nessuno.
Figli di un altro Dio si dice,
forse di un dio diverso
ma sugli
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Ed ecco ciò che anelo:
alfine il fresco temporale,
quel mormorar lontano
che dell’allodola il sensual vocìo
all’improvviso rompe.
Tra i nembi oscuri algida saetta corre,
ombre fuggenti ai muri nostri dona.
E la tua man che stretta
la
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Fragile, lungi ancor dall’esser donna,
elfica aura, presenza eterea.
Silfide languida, tenera musa.
Calliope in fiore
germoglia ognor tra note ataviche.
Spirto mio lirico, vortice improvvido,
ragione donami del quotidian vivere.
Furia inebriante,
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Invia un messaggio privato a Giovanni Ciao.
Non tornar ti prego alla mia mente
lascia ch’io vaghi ancora libero
aldilà del nostro muro finalmente,
come uno zingaro cercar fida dimora.
Non guardar ti prego col mio sguardo
perché veder vorrei oltre il nostro muro
ergermi in alto
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Ancor di te ho vivido il ricordo.
Lo sguardo, gli occhi, il tuo sorriso
triste, ormai spento da un dolore sordo,
che a tratti, incredulo
increspava il pallido tuo viso.
E quelle mani, di virtù antica armate
ormai fisse da improvvidi
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Pallida, notturna e fedele amica.
Tu, luna, tu muta lanterna
rifulgi eterea di luce antica
le sere impregni di speme eterna.
Olente zefiro, lontani odori di spezie asiatiche,
perdute tracce di remote lande,
mi porta ognor di vite arcaiche
di donne
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È sera,
e il cor riposa.
Or libera è la mente;
ed anco il corpo quiete trova.
Tregua e poi, pace, quella vera.
Membra
ormai di forza vuote,
stanche di chieder quel po’ che in molti hanno;
tenui briciole, un nulla
ma che lenire
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Ed or v'è solo nebbia.
Languida e silente amica
tra le cui braccia poter nascondermi
e vagare.
Al riparo da insulti, angustie e liti.
In cui poter alfin scandire il passar del tempo.
Sol tu mio prepotente
raggio di sole
scardinar puoi
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Sera
di tarda primavera.
Su, la notturna falce già impallidisce
nell’ancor vermiglio cielo.
E qui le nomadi lanterne si incontrano
nella perpetua danza
che ogni anno si ripete, segno del rinnovato tempo
pregno di lusinga e di
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Perché livido tremare,
stringere i pugni, le fauci serrare?
Qual altro senso può aver la rabbia
se non la vivida coscienza
di una pur pallida realtà
di via d’uscita senza,
tal da uguagliare un canarino in gabbia?
Sì,
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Sotto le stelle, su questa terra
do inizio al viaggio, io ancor pellegrino.
La ragion mi freme lungo tutta la pelle,
del perché ho intrapreso questo cammino.
Cosa mi attendo da questa strada,
cosa mi aspetta laggiù al mio
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Guardami.
Chè nel tuo filial guardo
giorni ravvedo
perduti, dimenticati,
spesi in gesti ricolmi del nulla di ogni dì.
Guardami
E possa il tuo sguardo
congelare l’istante,
qual final attimo di intima unione.
Guardami
Con occhi che
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