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C'era nei tuoi occhi un lampo grigio perlato
nei capelli fili d'oro
e nel viso un dolce sorriso di cucciolo innamorato.
Correvi quel giorno nel sole
ed eri di bianco vestito
e la Terra che calpestavi,
onorata di poteri sostenere,
si chiedeva perché Giove non ti avesse ancora rapito.
Era forse all'amore virile e a tanta bellezza
ormai sordo e accecato?
Perdermi nelle prigioni d'Amore
facile per me non era mai stato.
Ma il tuo sguardo, una volta su me,
nel labirinto di Dedalo mi aveva buttato.
E gli incanti che i tuoi occhi nei miei avevano gettato
tuo schiavo d'amore mi resero
accidioso per il resto del mondo,
di cortese amore a te generoso.
Adesso il tuo fisso sguardo fissamente osservo,
la lapide al cielo grigio la tua immagine oppone.
La brulla Terra d'accoglierti si rifiuta,
impavida sfida il tuo triste destino
e vorrebbe che su lei il tuo piede tornasse a danzare.
O che ingiustizia! La sento gridare.
Tale bellezza negli anni dovrebbe sfiorire!
Di sentire, a me sembra, la madre Terra
implorarmi di scendere nell'Averno angusto
per riportarti alla luce e farti sorridere ancora,
felice lasciarti al riso del giusto.
Ma Orfeo non nacqui, solo poeta,
che Morte lotta trasformando la tua bellezza,
scalpello è il mio verbo,
in eterni versi di pietra. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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