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E' vero che non avevo nulla da regalarti
e tu non avevi nulla da ricevere, eppure ridevi,
ma il clown scivolava lento.
Consolavi il mio sogno nascosto
senza niente da perdere.
Tu che dalla vita dovevi solo comprare,
io che dalla vita dovevo soffrire e in quel momento
si cominciava, noi due seduti,
su quell'ultimo autobus,
nella notte dai vetri riflessi.
Lo stesso sogno che ci univa tra i tanti
finiva sconfitto, forse che il cielo ci vide cosi belli?
Diverso decise la milizia.
Io imploravo le stelle a cadere,
che facessero chiaro allo scuro.
Ma un pugno di sabbia, la specie del colore
dei miei stivali bianco di spino, è il sogno
del tuo cuore di biondo soffuso,
per naufragare, si ballava
in quella notte dei folli.
Al ritmo di un rockn'roll da pazzi
che non veniva da nessun paese, la lotta
della libertà che andava perduta
e noi, che non contavamo più
che promesse mancate.
Con te, che non si accordava il verbo amare,
che io non coniugavo più nelle cose tue nascoste,
giocare con le ciocche dei tuoi capelli
sotto le quali pensavo di credere,
quel che pensavi.
Da un equivoco di una promessa alla notte,
a coprirti di un cielo di stelle cadenti tu,
che non credevi di pensare quel che io credevo.
Il clown che cadeva, io che soffrivo
sull'amore e sull'ombra.
Il Dio della tormenta aprì la casa del tuono,
che subito tuonò. Quando vidi il cielo
accarezzare il suolo e lentamente scomparire,
come lo shampoo di un raggio alla luna,
la sua ombra all'amore.
Un nido di rondini, il mio futuro di pane duro,
con la bruna divisa pronta a naufragarmi,
costretto a ballare a ritmo, un rocknroll.
E pazzo io, fuggendo al temporale, salivo le scale
mormorando tra me: "ni un paso atras".
Ma ora mi si perdoni che quando il clown cadeva,
io piangevo dimenticando
che "única lucha que se pierde es la que se abandona"
ma io li ormai, non c'ero già più.
Coniugavo con lei il nostro verbo, amare. | |
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