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Precipitiamo trascinando con noi
frammenti di rocce morbide.
Una caduta debole,
quasi annullata ogni legge di gravità,
una caduta- dentro
la frana del sangue nelle vene,
la frana delle impressioni.
Cercando appigli nell'aria
qualcuno a cui stringere la mano
abbiamo sfiorato luci
che credevamo spente.
Precipitano i palazzi,
precipitano in nuvole di cenere
e polvere
- cenere e polvere negli occhi tra i denti sulla lingua
Precipita il cielo
giù dalle nuvole
sulle spalle delle indifese formiche
che lavorano e corrono e corrono e si affannano
ma non sanno liberarsi dal peso del cielo.
Tutto precipita,
ma la nostra caduta non ha suono
non ha peso
non ha spazio.
Intrappolata nell'attimo del tuono,
il terreno che si sbriciola
non è altro che la pelle
delle tue mani, del tuo volto.
Raccolgo coriandoli
di me di te di loro
da soffiare
sul ghigno cattivo della luna.
E intanto
ballano
appese alle corde di luce
tutte le strade non percorse,
tutti i sogni non sognati,
tutte le felicità giustiziate.
Non siamo morti
- nonostante tutto -
con le mine che hanno distrutto
le ore intorno ai nostri giorni,
non siamo morti,
con il rumore della fame
a corroderci le orecchie,
non siamo morti,
con la vertigine del nulla.
Non siamo morti,
ma la ruga del tempo
attraversa la tua gonna
con malinconia,
spegnendo la miccia
nel tuo sguardo distante. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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