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Laddove il sol fugge dai fiori
per suscitar dall’erbe strani odori di terra
distendo le mie membra e mi riposo.
Sconosciuti aromi inconsueti godo,
mi serra il petto vita inesplorata e nuova
quasi disseta e mi ritempra
quest’odore d’ascesi.
Dalla crosta di cerro e da corteccia
ecco spuntare una formica
che s’accosta, percorre la mia mano,
piano titilla e passa;
snella trai rami la ghiandaia salta e se la spassa,
poi plana nell’erba e scava lì dove,
meraviglia, tra le foglie s'eclissa
una famiglia di chiodini.
Il ragno tesse la sua tela, esca prepara,
triste sorte di mosca, di zanzara che passando afferra;
dall’ombrelle d’anemone rosata
esce la vespa impollinata e scintillando vola;
iridescenti di metallo gli occhi
la crisopa sfoggia sulle foglie di viola;
frinisce la cicala sul fior di stecco;
sulla felce che il muschio ombreggia
sbava la lumaca e si riposa;
preda, palla di sterco spinge scarabeo;
lassù sui tronchi scoiattolo ondeggia
d’agilità fa mostra alternando il rosicare.
Cresta levata, valica la quercia la ghiandaia,
grida come poiana e come gatto frigna.
Profumo di zenzero e di spigo
di primule, viole e margherite,
inalo pervinche e biancospini,
mi castigo di verde e di natura,
della strana creatura che m’incanta
e di un uccello sconosciuto che canta.
Mentre il gorgoglio del rivo mi richiama
prendo la via di casa per tornare
quando m’accorgo che non è un ruscello
ma d’un beccafico il gorgheggiare. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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