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Chiamatemi poesia,
diceva lui
sebbene sapesse quale fosse il prezzo.
Masticava sigari amari,
il profilo austero e nobile
dimenticato a intrattenere signore
dagli abiti gentili e profumati.
La sera scansava le tende alle finestre,
e assaporando l’attesa di improbabili amanti
scardinava le ore dallo scrigno del tempo.
Affondava nella vita, senza fretta,
arreso alle sue stravaganti leggi.
“Se avessi l’altra guancia la porgerei”
sbuffava dinoccolando i pensieri,
tra il fumo dei bicchieri in festa.
Sapeva arredare con maestria la sua ineffabile prigione
pagando il giusto dazio ai capricci dell’ego,
vendendo l’anima, ma solo a rate,
soffiando via la notte, ma a piccole dosi
nascosto nei sorrisi di uno specchio.
Prima di dormire arroccò la torre, ormai stremata,
parcheggiò la malinconia nei sogni
rubandola ai sospiri del suo amato Argo.
E quando al mattino lo trovarono
e portarono via il suo corpo inerte
non si accorsero dell’arcangelo Uriel
che ancora vegliava sulle sue promesse,
mentre il sudore cadeva dal borbottio dei camici,
sulle ferite impresse nella carne stanca. | |
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