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Come mi sento stanca
mi sento tutta rotta
forse colpa del tempo
pregno di umidità
senza dimenticare
la mia vetusta età.
Quando viene l’estate
sento la fibra asciutta
mi sento più leggera
e molto rilassata:
ma nei mesi invernali
mi gonfio dappertutto
sento crampi alle gambe
ed un piede distrutto.
Ricordo ancora bene
la mia lunga esistenza
anche se son passati
novant’anni suonati
quando mastro geppetto
con attrezzi affilati
separava il mio fusto
dalle radici nascoste
del castagno robusto:
non sto dicendo vanto
di uno spinoso arbusto
ero una bella pianta.
Con la scure tagliente
mi sfoltiva dai rami
e trasportava il resto
nella vecchia bottega
poi mi tagliava in assi
con l’affilata sega
e seguendo la prassi
mi distendeva al sole:
voltandomi di lato
sempre al mattino presto
faceva stagionare
il mio legno pregiato.
Dice un antico detto
che bisogna soffrire
per vedersi abbellire:
così fece geppetto
smussando dappertutto
col fischiante pialletto:
poi tracciava dei punti
da tagliar col seghetto
che poi fece montare
nell’incastro perfetto.
Rimasi stupefatta
quando mi mise in piedi
tutta ben assemblata
e rimasi estasiata:
la mia linea perfetta
mi lasciava entusiasta:
le sagome sporgenti
le gambe affusolate
e i piedini spioventi:
la facciata abbellita
da pannelli specchiati
coi bordi sagomati
da cornici vistose:
col piano levigato
ero bella e graziosa
ringraziando geppetto.
Mi portarono a spalla
dove ancora dimoro
ricevendo carezze
dalla bella padrona
che contenta e giuliva
già mi mise alla prova
rovesciando sul piano
della semola fine
di eccellente frumento
e con acqua bollente
miscelava all’impasto
uova fresche del posto:
poi spianava con l’asta
sul levigato legno
di pregiato castagno
ritagliando poi lesta
con l’aguzza rosetta
le apprezzate lasagne.
In quei tempi opulenti
sui ripiani robusti
ero colma di tutto:
dal buon pane croccante
ai salumi piccanti
le bottiglie col succo
di pomodoro passato
prelibato alimento
per qualsiasi palato:
custodivo oltretutto
su angolini nascosti
pancetta affumicata
formaggio stagionato
grosse fette di lardo
ed altre cose buone
che ora più non ricordo.
Ero giovane allora
e sopportavo bene
il faticoso lavoro:
con l’andare del tempo
ogni tanto geppetto
se veniva chiamato
rimpiazzava le viti
alle vecchie cerniere:
spennellava abilmente
sui pori inariditi
e sui bordi cadenti
della cera brillante:
ritoccava un battente
dall’usura incurvato
mi rendeva efficiente
come in tempo passato:
poi, geppetto, spossato
e ormai fuori di mente
questo mondo ha lasciato
per un cielo clemente.
Oramai sono stanca
e gli acciacchi son tanti
non mi chiude più l’anta
e quell’altra è sconnessa
a sinistra c’è un asse
che sta su per scommessa
o le gambe mal messe
ed i piedi tarlati
ormai sono ai novanta
e non faccio promesse
sono pure distratta
e mi sento dimessa.
Non desidero tanto
il compenso l’ho avuto:
mi rimane soltanto
come un atto dovuto
ringraziare geppetto
che mi aveva creato:
“sono stanca ripeto
ma la fibra è robusta
e se trovo un maestro
che con arte mi aggiusta
finirò messa all’asta
pur se sono vetusta
o sarò sulla lista
dei regali, alla casta. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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