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Può essere forse il cinguettio d’un stormo
gridante a’ i nuvoli invito all’ebbrezza
in una spenta Vita?...
Ti riconosco, oh cardellin mio caro!
I tuoi bramosi concenti son noti,
infatti, al mio cuore,
il qual si mostra - e tu lo sai!... - si mostra
premuroso di nuova noia e nuovo odio...
sprezzo profondo, invicibile e bruto...
sprezzo demente pe’ il silenzio tuo,
per il verno che trascorre
e per la vicina, floreal
Primavera che piccola
ancora vergogna il suo volto
taciturno. Così, oh mia amata árida
ala, profondo mistero ma pur
dominatrice del vento primiero,
il qual non altro è che
delle vïore la culla, e delle rose
cespite almeo, vital segreto e spiro,
dimmi: perché... perché... tu dunque vieni
a ferirmi l’udito che la tua lama
al cuor trasmette, mio segnal di spasimo...
spasimo eterno... spasmo senza un nome - (anonimo!)
furioso... violento...?
perché... perché ferirmi con la tua
allegrezza bëata,
frutto perduto di gioie tramontate,
e perdute... gioie pallide, e sofferte... ombre
di Fati nascosti nel libero scorrer del Cielo?...
Perché... perchè?...
Ma intanto la sì lieve fiamma debile
del giorno, e del meriggio... e della sera...
la Luna della Notte, la feroce
ora prima dell’alba,
le rose del Tramonto,
lentamente svaniscon mentre tu
canti, o mio stormo... E tornano le nebbie
consacrate all’inverno... il vento freddo,
il silenzio iracondo sopra i campi...
il vergine mio incubo insonne e folle,
la tua via cittadina abbandonata...
il soffrir dell’Arbogna...
il sogghignar del nido tuo or naufragato
nell’ultimo gelo...
il qual è il freddo
d’un giorno di Primavera fecondo soltanto
alla brina assassina de’ i primi miei fiori. | |
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