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Il gleso cola dal tuo labbro osceno,
oh quercia solitaria!
e scende... e scende... e solletica il seno
d’una Ninfa dell’aria;
e gli sguardi miei cattura lungo il tronco
di questo legno che di rami è monco.
Sei innocente!... Ridìllo alla zanzara
che da millenni dorme,
profondamente chiusa nella bara
del tuo corpo difforme!
Ridìllo al prode viandante normanno
che te cogliendo in cuor intende affanno!
Ridìllo alla giovinetta più bella
che di te i capei invischia
per fàrseli più biondi... e la rubella
mentre lo fa, ti fischia:
lo stridulo del vento e dell’Amore...
e il palpito del sbiadito suo cuore!
Ma io ugualmente contemplo questa goccia
di Morte e Vita culla,
mentre tardiva nel verno la pioggia
cade... grida nel Nulla;
donde mirando gli arboscelli aspersi
per te, oh quercia, proclamo i tristi Versi!...
E nell’ombra, che l’ambra moribonda
appena abbuia, giace
una stilla di Luna ardente e bionda...
d’una donna mordace:
la Natura... che avvolta in nera nube
mostra una tomba, frutto del suo pube.
E un dì cadremo tutti in tanta terra...
come glesi cristiani.
Sarem quest’urna oscura che ci serra,
ossame per i cani.
Iddio ha segnata, infatti, sepolcrale
una croce sul ventre
di chi ci ha partorito... Angioli e Male
di tante nubi spente.
E siamo spettri di ogni cimitero,
e siam nebbia errabonda.
Chiamatemi nel meriggio più nero
"Morte feconda!". | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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