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Serte robe i è come un muro,
fate ben,
a piombo,
in bola,
le te fa sentir sicuro.
Malte grese che se suga,
muradori par la casa,
seci, onto e segadura,
pensa a quanto che se paga!
Un bel casin,
non ve do torto
ma l’è el preso da pagar
parché el muro non sia storto.
Finché riva un po’ de bianco,
a trasformare sta creatura,
animarlo con la prima
vera mano de pitura.
L’anno dopo la seconda,
poi na tersa a rinfrescarlo,
a pensar a come far,
anca un po’ par migliorarlo.
Ghirigori, stuco e gesso,
par far finta nol sia el stesso,
fade e puoti ai buteleti,
le steline, gati e orseti;
E dopo bianco e blù e marrone,
ogni anno, o ogni stagione.
Finché un dì nol perde i tochi,
el se desgrosta gravemente,
che na mano de pitura,
la risolve proprio gnente.
O te sgrosti fino in fondo,
te rifè la finidura,
ancora seci e via laori,
muradori e segadura,
malta fina, gesso e stuco
e dopo
ancora
la pitura;
o te piansi quel che è sta,
che te vedi fra quei busi,
in senocio, in piè o sentà,
coi oci verti,
oppure chiusi,
col sguardo perso e imbambolà
de un mona
che varda
un muro sgrostà. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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