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Se forse tu, Giovenale, vaghi inquieto
per la chiassosa Suburra, a me concesse, il papa Borgia
un’oasi di silenzio in essa, se dimentico d’ogni orgia
e congiura e uccisione qui commessa, me la ammiro
dal basso, o dal suo interno, ove un frastuono scarrozzante
medievale fa solo eco al silenzio e al calpestio. Dei Borgia
la scalinata è questa, e come l’edera che lenta la rivela
velandola a tratti, come lei, se sia cattiva ciò si cela
dietro la magnifica apparenza
di Roma in tutta la sua augusta decadenza.
Ma forse, Giovenale, a te non giova il rimirare travagliati
parti di sozzi papi, pur ti gioverà ammirare
che costoro all’Urbe perniciosi, in privilegi generosi
al sommo della scala a quei posteri con loro ingenerosi
altro lasciarono, e alla chiesa che si apre sul piazzale silenzioso
chiamò l’imperatore e papa Giulio un virtuoso
o spirito divino, più che umano, a realizzare in vivo
marmo, eppur sublimemente finto il Mosè che dovea adornare
il suo sepolcro. Ora ai vincoli di San Pietro
guardà Mosè arcigno, e un poco par rimproverare
eppur contribuire, del bello alla potenza
di Roma in tutta la sua augusta decadenza.
Siamo nella Suburra, Giovenale, ancora
la tua Suburra, e ancora è torva nonostante
l’edera rampicante
sonnacchiosa, maestosa ne ricopra marmi e tetti
che ancora sono infetti
da passato e presente turgore; caso strano,
qui a Roma, più ne hanno
più sembra che rilucan di splendore; caso strano, Giovenale, non un angolo
oscuro non rivela un qualche sprazzo di chiarore
ed al dito uno scorcio
spettacolare, caso strano, ma questa è la tua Suburra, la tua
Roma, e la tua Roma è amata o odiata Giovenale?
Contribuirà, la tua risposta, alla storia senza eguale,
pur in tutta la sua incedenza
di Roma in tutta la sua augusta decadenza. | |
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