In piena luce:
dalla vetta del padiglione,
ove un di’ venatoria congrega,
di buonora
avanti l’aurora,
per sollazzo, fe’ spesso adunata,
l’abisso abissale scrutando,
soprammesse lassù, al parapetto
(ombra scura,
lineare architettura)
s’estroflettono dei lineamenti:
quattro capi di varia fattura.
Basso l’uno, l’altro prominente,
minimo, lì accosto,
altissimo, finalmente.

Dirimpetto:
digradante l’erbosa collina,
vastità dell’immenso parterre,
nel calore del sole aprilante,
sul bel prato, distese ad oziare,
se la godono belle figure
che l’età non ha fatto invecchiare.

E laggiù,
poco oltre l’aiuola fiorosa,
imponente, fastoso maniero,
fu dimora sì alta e regale
per estati dal dolce far niente;
e una sagoma di principessa
par tuttora discender le scale.

Sono fisse, le quattro figure,
estasiate da tanta beltade;
zitte, rompon la monotonia
del lunghissimo balaustrale.
Così arduo è distinguer le rughe
di quegli occhi, del mento e le gote
o le pieghe di labbra carnose
che rivelin qualsiasi emozione
di quei volti,
dall’astro fulgente celati!

Quell’immobile, alterno quartetto
cerca e trova la fotografia
che rimanga, indelebile, impressa
tal letizia e qual tanta armonia.