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Quann'unu teni sordi e l'atri voli
è ssegnu ca iddu no' ssi benchia mai
e ssi li rrocca cu no' ssi ni doli,
cá, ci li perdi, pi iddu sontu 'uai.
Shta sempri ddà l'avaru e no' allu soli;
havà sci' fori, ma rimanna a crai.
No' ssi faci cunvenci' t'li paroli,
cá, quantu teni, pi iddu no' èti assai.
L'avarizzia no' ssulu è 'nu piccatu,
ma unu t'li setti vizzii capitali.
Ci unu èti avaru ti quann'iddu è natu
a tutti li crishtiani è ffattu mali,
cá mai a nisciunu, ti cce tteni, è datu
'na cosa, cú pó all'atri essiri uquali.
Traduzione
L'avarizia
Quand'uno ha denaro ed ancor ne vuole
è segno che lui non si sazia mai
e lo conserva per non dolersene,
ché, se lo perde, per lui sono guai.
Sta sempre là l'avaro e non al sole;
deve andar in campagna, ma rimanda a domani.
Non si fa convincer dalle parole,
ché, quanto possiede, per lui non è molto.
L'avarizia non solo è un peccato,
ma uno dei sette vizi capitali.
Se uno è avaro da quand'egli è nato
a tutte le persone ha fatto male,
ché mai a nessuno, di ciò che ha, ha dato
qualcosa, per poter essere agli altri uguale. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
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«Sonetto classico in vernacolo sanvitese (alto salentino) con relativa traduzione. Schema: ABAB/ABAB, CDC/DCD.» |
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