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Frigido sangue, c’ha un gran difetto
inoculato col volar felice
nel cielo alto fra i caldi zefiri
a bocca aperta per sentir il vento,
che poi crucciare come smeriglione
mi fa scrutare la mia lassa preda
o come la gazza ladra per brillante
che da Dio dato par a me per pregio,
o al favoloso basilisco verde
soffiato lesto al cantar del gallo.
Fallace arte, mutevole volto,
dei dolci sguardi d’avvenenti donne
distratte dalle apparenze vane
dei dolci sguardi che il tempo ruba
in tal tramonto ch’è di fuoco fatuo.
D’una magagna sono prigioniero,
fra terra e cielo, mentre Ariel cala
a proteggere la vendemmia ancor
fra i negletti tralci verdi, l’uve
che son già d’oro, dolci, poco pregne
che pur le volpi agognano svelte
mentre gli storni a beccar van in fiera
moltitudine, sui cadenti acini
in abbondanza sperperati, quando
non van errando al battere forte
come di fruste e indolenti mani
mentre risuona fragoroso l’eco.
M’intenerisco e non sono saggio
per tal brutale invadenza agreste
che di liquido molti tini vuoti
lascia di dolce umor rossastro
a ribollir dentro umidi legni,
per il gentil villano dal naso morello
e rosse guance sul pallido viso
per il ber troppo quand’è lui in festa.
Or il mortale sguardo lo rattrista,
il suo pensiero si offusca mentre
quel far povero ch’è dignità nata,
come riflessa nello specchio vecchio,
pare soigné lasciata in regalo
che l’immagine indolentemente
ingrata, per l’amor del vero, vuole,
mentre il saggio più non teme.
Di noci gonfia ha la vita, mentre
ancor s’inebria di buon vino nuovo,
cantando forte al bel tempo terso,
allor chiamando la compagna morta
già di fatica per i figli distratti
da assolute modernità,
inutilmente sublimate come
l’unica via di salvezza d’oggi
ma sol strumento di credenza sciocca. |
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