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Oh tu donna, che menti
al mio cuor in catene
e con orgoglio ostenti
la tua vana bellezza, che non t’aiuta.
Ma il cuore muore
per le tante pene
e morendo d’amore,
per l’amare, risorge a nuova vita.
Dunque vivo morendo?
No, ma col cuor comprendo
ch’è più morte questa
che quella di noi tutti naturale.
Per te donna, che ama
e più di se stesso brama,
e ancor tu disdegni:
Oh tu donna mia, per te vidi male.
Dell’innamoramento
non si può dir in versi
ma col sentimento,
né ragione dire lo può, né lingua;
e quel che dico è niente
per dir ciò che persi,
e nulla più mi sorprende:
se il fuoco mai più si estingua,
e sempre mi strugge,
perché non mi distrugge?
Come la salamandra,
che non teme il fuoco e dentro vive,
il mio cuore brucia
e da molto non s’inficia
per il piacer sublime,
e ancor nega le mie aspettative.
Oh tu donna, sei stolta:
se sapessi capire
e cogliere dalla volta
la luminosa stella dell’amore;
non patirei le pene,
non dovrei soffrire
ciò che non conviene
se con te non posso sfogar l’umore.
Questo molto mi turba,
come sbagliar colore
o disegno, disturba
il pittore bravo che al fin delude
per non far in natura,
senza false riprese,
la sua fresca pittura,
e non cadere in si mortal palude.
Il tuo dolce amore
è un mare tempestoso,
schiarito dal bagliore
dei fulmini. Alla fortuna scherno,
e butto al periglioso
l’inutile zavorra
in modo puntiglioso
a scongiurare il suo fatal inferno.
Come i marinai
similmente getto via
come fossero dei guai,
i sospiri miei e i dolorosi pianti,
che se non lo facessi
affonderei dal peso,
che colmo sta d’eccessi,
del mio cuore per i suoi astanti.
Io son terraferma
contro cui la tempesta
s’infrange sotto l’erma,
e poi si placa per me d’amor viandante.
Ho donna mia, spietata,
che ti faccio la corte
con l’anima piegata,
che non gradiresti neppur dipinte
le mie strane fattezze.
Perché a me tal sorte,
d’uomo senza certezze?
Non ci riesco, tanto l’amor m’ha vinto!
Oh donna, tanto forte,
e poi tanto pur sdegnosa,
che il cuor mio ad arte
a prigioniero vorresti qui ridurre,
e tanto pericolosa
che la serpe al pari
è men infida e velenosa
vedendomi così tal vita condurre. | | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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«Libera interpretazione da "Madonna dir vo voglio" di Giacomo Lentini (1210- 1260)» |
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