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Mio errabondo cuor che intorno annaspi
e brancolando vai muto e pensoso
restando con te stesso, al mondo ascoso.
Ho abituato l’occhio alla bellezza
col mio solingo andar nei giorni incerti
aspetto i venerdì per rivederti.
Lungo la strada il mio cuore ha sede
porgendo verso te la stanca mano,
ti guarda, tu comprendi, nulla chiede.
Se ciò che soffro il volto lo dicesse,
quando inghiotto lacrime e sospiri,
le astanti rimarrebbero perplesse.
Se esiste un Dio eterno ti protegga,
bellezza che dardeggia l’alma, il cuore
felice chi ti può chiamare amore.
Il foglio freme sotto la mia mano,
la penna mi asseconda dolcemente,
frugando cerca il bello nell’arcano.
Ormai dal triste mondo nulla attendo,
quando lo sguardo tuo mi tocca il cuore
trattengo il pianto e il mondo non offendo.
Asilo chiedo, nulla intorno odo,
con questo cuore mio fatto a tartana
affonderò nel mare dell’ignoto.
Con gioia d’una forza ormai sopita,
ti vedo e nel mio cuore si ridesta,
solo una dea può ridarmi vita.
Io taciturno invoco il tuo sorriso,
mi si appanna la vista son commosso
l’erubescenza sale sul mio viso.
Donna che parte mia fosti una volta,
facevi parte tu del mio costato
con braccia aperte e amore vieni accolta.
Ti porterei dove sorge il sole
per presentarti e farlo impallidire.
Vaglio gli astanti e d’altre ti separo
vedo la nobiltà il portamento
ma vive sempre in me calice amaro.
Mi fò da parte col mio scoramento,
in angolo racchiuso con me stesso
rivive in tua bellezza il mio riflesso.
La vita mia è ritenuta inane
fra la battigia bassa e la scogliera,
attendo l’ore belle antelucane
dei giorni miti della primavera. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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