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Nuvole caprioleggianti,
di un bianco marmo,
nell'atmosfera fumosa
di sussurri,
tuffano un sorriso,
sul mio viso.
Sono Venere spumeggiante,
su di un'onda danzante.
Assaporo l'odore maliardo
di salsedine,
arsa da un sole gioioso.
Grida il gabbiano
inossidato dal raggio.
Fugge al calore
della potente fiamma,
bandiera nell'alto del cielo.
Cerca lo scoglio,
come rifugio al dolore,
del possente calore.
Annaspo nel coccio
di una conchiglia rotta.
Rugge il mio piede,
cercando appoggio.
Sono anima persa,
galleggiante nel vento.
Sono cuore solitario,
arroccato ad una rupe,
imbrattata di foglie.
Alghe, spirali di desideri,
usciti dalla mia mente di ieri.
Mi aggrappo con vesti stracciate
dagli artigli dell'ansia,
al piacere dei ricordi,
di una gioventù perduta.
Scrollo con rabbia,
granelli di cemento bollente.
Irruenti, hanno scavato fosse,
sulla mia pelle.
Buche dolorose,
pozzi di bianca e secca sabbia.
Stordita, mi accascio stanca ed avvilita.
Cos'è ora la mia vita?
La botta vigliacca
fece un macello,
di sangue pesto.
Ballò impaurito,
il tuo cervello sbigottito.
Piroettò nel vuoto,
quel tuo corpo,
sbalordito e sconcertato.
Fu il cemento armato,
il tuo giaciglio immediato.
Oddio! Il mio cuore!
In quel giorno funesto,
lui mi balzò fuori dal petto.
Scrollo in un urlo,
il ricordo.
Mi guardo intorno.
Penso.
Eppure, ancora ci sei.
Ed è questo il meglio, per me. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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