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Viveva un dì lontano, nelle Antille,
un frate cappuccino a nome Achille,
portento in carità, cultura e stile
amor teneva a blasonato e vile.
Addosso un saio avea e una bisaccia
in giro iva col vento e la bonaccia.
Scendeva da sul monte verso ‘l mare
facendo sosta ad ogni casolare.
Di noci, di castagne e di formaggio
di tanto tutti gli faceano omaggio
e quando empito avea la sua bisaccia
piano sgranocchiava una focaccia.
Sott’il calore del rovente agosto
con sopra ‘l dorso lo logoro basto
faticava asino difficile erta
ad andatura lenta e quasi incerta.
Sudato corpo tremitizio percotea,
e orecchie attente ‘n verso l’alto avea.
Sbucano da verzura tre figuri
d’aspetto tozzo e da li guardi duri,
strappan di mano a frate la cavezza
mostrando cattiveria e lor’ebbrezza.
Furon di pugni tanti al poverello
ch’incurante reclamava l’asinello.
Portano via, però, senza pietate
l’asino col basto e le derrate
inveendo viepiù su cappuccino
che nell’angoscia Iddio tiene vicino.
Il dì di poi, a spalla vecchia bisaccia,
li segni di percosse in su la faccia
appen che fu nel mezzo alla boscaglia
dell’asinello suo verte lo raglio,
novo lo basto e nova bordatura
era l’invidia di cavalcatura.
In ginocchioni allora il fraticello
volgesi al somm’Iddio con quest’appello:
estend’ Iddio, ai tre, tua caritate
canco lor cuori mostrano bontate.
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