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«Qualcuno ha scritto: "L'amore non è un destino, ma un compito" e questo ben lo sanno le donne, che spesso all'amore sacrificano tutto. Sono partita da un fatto di cronaca della guerra, per arrivare ai giorni nostri in cui ancora le donne continuano a morire per quel compito che per loro è cura e dedizione e spesso rimane intrappolata nelle maglie del possesso o del disamore. Mi sono soffermata sull'etimologia del nome donna in senso biblico: Il nome "donna" ('ishshah) viene considerato come forma femminile di ish (= maschio). L'intendere donna come "maschi- a" indica una relazione essenziale: sia per origine che per finalità, la donna costituisce una unità con l'uomo. Partendo da questo significato considero che invece l'uomo e la donna siano due alterità e che ciascuno, in quanto donna o uomo abbia la propria specificità. E' essenziale capire questo, quando il contrario ha portato a percepire la donna come possesso»» |
Inserita il 16/05/2015 |
Nel sobbalzo epocale
spersero lo sfalcio
della stagione buona;
portatrici carniche
fino in prima linea.
Po fiori da deporre,
medaglie da appuntare .
Ma intanto dimmi:
come sono morta ancora?
Portando munizioni,
lungo un canale, nuda
o fra le mura domestiche;
divenute arsenali di vendetta?
O forse franando
nello strazio del restare,
comunque restare?
Dammi un sillabario vergine
su cui riscrivere don- na
libera dalla genia della colpa,
da chiodi del dovere
Sono Ishshah
derivata dal fianco che mi volle schiava,
condannata a nascondere desideri
in seno
Invano sollevo il velo del rito che ci unì,
ho una gerla d’ortiche sulla schiena,
ma nelle mani, per te, Ish,
uomo mio, ho sempre un fiore |
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Anna62 |
13/02/2015 15:35 | 6668 |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
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««Venivano chiamate a qualsiasi ora del giorno e della notte – le portatrici carniche dovevano presentarsi ai depositi per riempire le gerle, svuotate dalle messi, di nunizioni Partivano con qualsiasi condizione atmosferica, con calzature di pezza
confezionate in casa, i cosiddetti scarpetz, o con zoccoli di legno che poco aiutavano quando i versanti montuosi erano ricoperti di neve. Le donne accompagnavano l’avanzata con preghiere e canti, per vincere la paura di spari e granate e. Diverse morirono. Mi domando cosa sia cambiato oggi, quando una donna resta in gabbie di doveri»» |
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