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Poesia del concorso Violenza sulle donne
Nate dalle serate stravaganti di un Dio errante
lungo i confini dell’indulgenza,
da polvere dorata offerta con insolita magnificenza,
da sortilegi smisurati.
Forse, solo per esaltarne quella perfetta asimmetria,
l’ignobile presenza che si proietta a fendere i misteri,
così, come un giavellotto che s’inarca nel creato,
per immergersi tra gli arbusti d’erica e d’ortica...
Eh sì! D’erica e d’ortica,
che gli elargiscono quella gaiezza del dolore,
l’ineludibile rossore,
per poi immergersi tra poderosi flutti
di marine che ne levigano leggiadre forme
a insaporirne la fragranza con petali di rosa
condotte da un vento gelido e pietoso,
e fuoriuscirne eretto, quale testimone
di verità nascoste...
che attirano il venefico morso del serpente
ad imprimerne dolcezza e maleficio.
Nate rigide, sinuose, a prima vista
impenetranti al penetrare.
Oasi di candore, fortilizi disadorni,
divinamente vellutate e austere.
Percorsi che divaricanti,
seguono itinerari erranti,
nella ricerca di una sazietà che è ancora ignota,
ma che divinamente è già stata svelata
ancor prima del suo apparire...
Ancor prima del suo apparire.
Ed è una stella remota
che ne traccia il percorso,
ed è una pulsazione che ne implora l’armonia,
ed è il mutare delle stagioni
che ne rinnova il desiderio
di sacralità svelata, di vita generata,
di sogno materializzato, di desiderio urlato,
di limite invalicato,
fino al suo superamento,
che è dolce e infinito...
E ciò che era pietra dura e preziosa,
diamante inscalfibile e inscalfito,
riflesso di rubino,
è trine di velluto
lungo cui si adagia
il simulacro dell’incoscienza
ad offrire gocce di veleno
che Dio, o Chi per Esso,
vollero tradurre in flussi di Grazia,
e dalla Grazia in Vita, affinché all’alba
fosse ancora Amore,
o una sua labile parvenza. | 

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