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Se riconosci la rosa, la rosa insolita, la sua
immacolata concessione di spine e raso,
la puoi vedere fiorita prima che avvenga.
Non avere fretta, mi dico, devi sapere attendere:
una rosa non è un treno, nonostante il metallo
rumoreggi nella potatura violenta
come l’ultima fermata. Quando vorrai,
starà addossata ai ballatoi. Si affaccerà
dal primo mese utile. Non è un treno,
può venire in terrazza. Penso a chi mi aspetta.
Sono convinto che una carrozza indichi volontà
di scoperte mansuete. Ha una prospettiva,
non sempre insegue gli eventi.
Non sono la rosa, non sono il treno.
Benché sia carico di passeggeri
amo la singolarità della neve.
Quando copre la fragilità dei luoghi,
quando non li gela ma sobilla la memoria
e diventa vetro. In verità, puoi lasciare la terrazza
e venire dentro: è mezzanotte, lucida i muri
una meraviglia alta dalla porta fredda.
Nessuna paura: se non viene la rosa,
altri fiori porterò con me. Mi farai entrare,
dimmi: lascerai le forbici e mi farai sedere?
Non sono la neve, amo la rosa che diventa stazione.
Questo verbo: amo, è o non è il tuo treno?
Non sei solo la rosa, ma cadi come la neve,
rara su questi campi al limite del Tirreno.
La porta del golfo si apre con niente.
Passano stracci alti e grigi, appena cupi,
ma non riescono a dare un senso di nubi.
Cambia il cielo, siediti ora: sul ballatoio,
sulla terrazza, vieni in stazione.
Da quella porta oltrepassa una porta sola:
entra, mezzanotte passata,
e se ne andranno le distanze
dalle spalle curve lo stretto necessario. |
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