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Tornando per la via aspra e sassosa
nel mezzo del dolce calar del Sole
ch'ispira 'l m'intelletto a scriver prosa.
Ch'infonde nel mi cor gentil parole,
per tutto ch'intorno a me circonda;
lo che m'ausilia e lo che mi duole.
Cammin dove l'inconscio mio mi manda,
per il paesel mi muovo senza meta,
fino ad arrivar in radura tonda;
La mi posai e l'anima fu lieta,
con gli animai che andavan riposarsi
la mia presenza ai più era segreta.
Il corpo mio che andava a dileguarsi,
tutt'uno diventavo con natura
vedevo come un lampo i miei trascorsi
Che sol erano fatti di premura,
nutriti dal dolore d'io stesso,
tornavano alla mente con usura!
Posai la schiena dura su di un masso,
placando la turbolenta guerra,
mentre 'l ciel perdeva il tinto rosso,
Verso il buio una parte di Terra
ch'in cielo rivelava a noi le stelle,
vidi i tre re la; d'oro, incenso e mirra.
Sopra le due diverse sorelle,
ch'una sola da qui si può vedere:
spicca la brillante tra le belle.
Ch'infonde in me l'animo sicuro
e consapevolezza di essere:
in succesion vi son Canopo e Arturo.
L'uniche che non potrò mai perdere,
fin'al lungo inizio della fine,
ch'il nuov'univers'andrà ad erigere.
Sino all'illimitato confine,
ove mente viva s'è inoltrata
come il miel d'ape che sgorga fine
Mai ripetizion fu più azzeccata,
per descrivere lo mio viaggio astrale:
lento culla la mia anima ammaliata.
Ch'insieme tende tutto all'immortale,
dando a me il candido alone
aleggia in me la saggezza ancestrale.
Adesso non vi son Terr'e persone
ma solo il tutt'uno universale,
che fa sfumar la grande illusione.
Pure 'l sacro principio dottrinale,
ch'uccise la ragione in agonia
togliendo il principio razionale.
Da Chiesa romana a Babilonia,
dal pensier unito arian'e indiano:
il tr'ebbe devota idolatria.
Mischiato tra il sacro e il profano,
fu per i molti fonte di salvezza;
dal funesto re all'umil villano.
E' il numero che toglie ogni razza,
ch'unisce il total in un impero,
cancell'il mal'infonde la purezza
Spianandoci l'ortodosso sentiero,
che porta al di fuori della selva,
all'illuminazione del doplero
Che lacera la carne della belva,
liberando dal ventre la sua preda,
lei che per ciclo continuo si salva.
Andando oltre quello che tu veda,
poiché azion de mondo spirituale;
altro non posso far mio lettore, perché tu creda. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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