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Come vorrei la carezza di un giorno,
sentire che ancora gli appartengo,
che mi appartiene.
Non sono più che un groviglio di mali
che ansimano nella ragna amara di un sorriso...
mentre ripercorro con desiderio
tutte le strade che mi conducono al di qua di un vetro.
Ove il biancore non ha più volume.
La carne imbianca come certi grani
che crescono nel buio di cantine,
i miei mostri hanno mani di latte
e mi hanno disarmato,
con bubboli di luna
non copriró la rabbia di campane...
E già la biacca si è scrostata al muro.
Le strade vanno e tornano,
nebulose in seno ad una croce.
M'avanzano vibrando tra frange di paura.
Le mie mani tremano alla luce dei ceri
non più di quelle di un bambino
e da bambino gioco ancora al rimpiattino,
col sole,
ma é lui che si nasconde.
Quando guardo al cielo come da una prigione.
Non provo più il piacere delle cose
che pure mi adornarono la vita.
Adesso m'inghirlando di parole,
la stretta forte di una mano fida,
la zampa che blandisce malumori.
É qui il mio cielo del suo bene e male,
quel Dio che mi è vicino
più che dalle pale di un altare.
Donde la luce sgretola la pietra.
Eppure ha vita breve il chiarore del mattino,
siccome i cisti svelati da un giardino.
L'orgoglio di colori che nei vespri
intristisce devoto a capo chino.
E di quest'ora che travolge al buio
le grida di un silenzio solitario
ai margini di un breve foglio bianco,
avverto il tocco caldo della mano
come di un giorno che si chiude piano
sulla mia attesa.
Che non va lontano. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
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«Il riferimento ai bubboli di luna é un vago ricordo di mio nonno che agitava pietrine di selenite per attrarre su di sè l'attenzione, talmente fioca era la sua voce...
A Carla, con grande bene.» |
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