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| Detesto la mia natura di creatura instabile
quando annaspando nella fitta oscurità
di una forzata voluttà,
assurgo, a stento, l'animo contrito
rincantucciandomi nella fede del Divino.
Il petto è pertugiato;
vili pungoli tagliuzzano il dolore,
nessun bel sentimento attecchisce,
ogni germoglio si dissecca sul nascere.
Son lunghi fili di velenose perle
i nodi alla gola,
ringoiati con rancore
devastano la sana flora nelle viscere.
Il timore di esser picchiata ancora
dalla mano sporca e violenta dell'infernale presenza,
svilisce ogni gesto di ribellione.
I vacui occhi, torbidi acquitrini di oro nero,
perdendo le striature della serenità
non colgono più i colori screziati della beltà
quella insita in ogni essere vivente,
né il viso ad accennare la dolce smorfia
di un radioso sorriso.
Nessun abbraccio acquieta l'anima sfregiata,
adesso scalza di ogni sorta di manchevolezza,
cerca di scrollarsi la vile bestia
dell'inquietudine.
Dove hai nascosto la nostra felicità?
Il tuo non Amore nella mia arsa bocca
ha il sapore amaro di chi sta vivendo un desolato lutto.
Ecco il rintocco del disarmato cuore,
ad ogni lento palpito un requiem...
una acuminata falce mozza l'agonizzante respiro;
è morto l'Amore.
In fondo all'anodina mente il nulla! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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«La violenza uccide sia l'anima che l'amore.» |
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