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Ho pronunciato permesso,
guando sono entrata in casa,
in Kennedy,
perchè ho avuto una fitta al cuore.
non c'era più la nostra camera da letto. non c'erano più i comodini, accanto al letto ,
dove io poggiavo le calze , l'orologio, gli anelli.
non c'era più la radiosveglia, il calore del piumone,
dove premendo l'orecchio potevo riascoltare il tuo russare, le tue, le mie canzoni,le tue risate, le tue parole destinate a me,
il mio scuoterti, per svegliarti.
Il metro, le nostre misure,
la libreria,
il tavolo, tondo, ovale, quadrato
di vetro, di legno
una camera nuova asettica, bianca, senza più calore, il nostro calore che emanava.
però tutte le stanze
mi urlavano di noi
e un tavolino nero piccolo, nuovo,
e sopra petali di rose, seccate,
ma quelle non sono le mie.
La mia, quella che poggiasti sul guanciale per il nostro primo capodanno
le mie, quelle che mi regalasti per san Valentino,
non ci sono più,
ma sono ancora rosse e profumate,
dentro di me
ed ero lì, davanti ad un divano vuoto, ordinato,freddo,
senza l'impronta visibile delle forme dei nostri corpi.
mi sarebbe piaciuto trovarlo ancora con i nostri segni.
ma , io lo so, che nella trama di quel tessuto, vi sono impressi.
Il mio disegno, il mio disegno non c'era più
quel disegno nato dopo una notte d'amore.
E in cucina,
in cucina il tavolo vuoto ,
senza più le tazze sporche di caffè, il tuo bicchierino sporco di grappa,
le sigarette nel portacenere.
Le nostre pizze,
con te
con Lorenzo,
con Enrico e Giovanna.
con Claudia e Rodolfo.
Solo due tovagliette di plastica,
deserte.
sembrava tutto asettico
Ma non era così
la retta immaginaria
sulla quale correvano i nostri sguardi che s'incrociavano
al disopra di quel tavolo,
io l'ho vista.
l'ho vista ancora.
Il rumore delle nostre presenze,
di Carmen ,
di Kate, di Lorenzo con le sue soffiate di naso,
e un pò di Sara
delle domeniche trascorse
era lì, lo sentivo invadermi
E le finestre, coperte da tende anonime
Le maledette tende, che non c'erano più,
quelle stupide tende
che ho voluto strappare nei momenti di stupida ripicca.
facendoti male, facendomi male
Quelle tende parlavano di me e di te
Non saranno più le stesse finestre.
le mie finestre.
Era tutto cambiato, ma non dentro di me.
quella casa mi appartiene ,
mi appartiene
nella mente, nell'anima
proprio come te.
Hai fatto acquisti da solo,
sei stato bravo
e
forte.
Non hai avuto bisogno di me.
Non ho mai visto lo sgabuzzino
là, sopra.
pieno di cianfrusaglie.
presto sarà svuotato.
Ma il mio cuore resta pieno anche di tutte quelle cianfrusaglie non viste ,
amo il tuo disordine.
Ho fatto scendere la serranda della nostra camera per l'ultima volta,
avrei urlato,
ma mi sono compassata
con il mio nodo in gola
che è rimasto,
che è sceso giù ,
sempre più giù
che mi ha pervasa
Ti ho lasciato spegnere la luce,
non volevo spegnerla io
uscendo,
per me è rimasta ancora accesa.
E hai chiuso la porta
Siamo entrati in ascensore,
mi hai girato le spalle,
per la prima volta.
siamo scesi.
usciti.
Ed ho visto il cancello automatico del garage,
chiudersi dietro la mercedes.
Avrei voluto spalancarlo tutto
per potervi scendere ancora
Anche quando ti ho conosciuto
ho chiesto permesso
per entrare in te | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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