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| La ga rizù la Bruna de catale
ndei dé dè mès de la stagiù de mès,
quando le cröda ‘n tera bele löstre
apena gnide fora dai so rés.
La ga rizù la Bruna de tignile,
mitìsele ‘n scarsèla a dò a dò
e ardàsele, gudìle e spalpognale
e creder che lé porte via ‘l discül.
Dopo, però
(l’è semper lé - la Bruna - che l’al dis)
se tè le làset lé tre setimane
desmentegade sura ‘l casitù
e on dé, per caso, le tè vé per ma,
te restet - sé - ciarìt come ‘n macù
a troàle fròle, co la scorsa pasa,
magre, maciade de zalt e de marù,
sèche come le brògne e scalcagnàde.
Dopo che t’è pasat la mareèa
mesciada con de ‘n pel dè delusiù,
te vé ‘l penser che ‘n font le tè sömèa
...e monta sö dal stòmec el magù.
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TRADUZIONE
Ha ragione la Bruna a raccoglierle / nei giorni di mezzo della stagione di mezzo
quando crollano a terra belle lustre / appena uscite dai ricci.
Ha ragione la Bruna a tenersele / a mettersele in tasca due a due
a guardarsele, goderle, palparle / e credere che portino via la scalogna.
Dopo, però / (è sempre la Bruna che lo dice)
se le lasci lì tre settimane / dimenticate sopra il cassettone
e un giorno, per caso, ti vengon fra le mani / ti ritrovi - si - stupito come un ebete
a trovarle molli, con la scorza appassita / magre, macchiate di giallo e di marrone,
secche come le prugne e scalcagnate.
Dopo che t’è passato lo stupore / mescolato con un briciolo di delusione
te viene il sospetto che in fondo ti assomiglino / ... e ti sale dallo stomaco il magone. |
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«X dire, il 27 settembre 2012, ha pubblicato su questo sito una poesia in dialetto bresciano intitolata "Castegne amare". A lei sono debitore, oltre che del titolo e dello spunto, anche delle considerazioni che hanno ispirato questa poesiola.» |
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